Alla sua prima Direzione da segretario, il numero uno del Nazareno
torna a bacchettare il governo, e Letta non ci sta. Accelera sulla
trattativa, incontrerà Berlusconi
Bando agli indugi, è il messaggio che Matteo Renzi ha insufflato
nelle orecchie dei membri della direzione del Pd, la prima da quando è
segretario, nella medesima sala che vide le relazioni di Veltroni,
Franceschini, Bersani, Epifani, le polemiche di D’Alema e Bindi, le
argomentazioni della Finocchiaro, le frecciate di Fioroni, la vis oratoria di Marini. Un’altra éra.
Renzi ha fatto Renzi. Ha avvolto la platea con un discorso a
braccio, “tecnologico” e al tempo stesso pane al pane e vino al vino: ha
strattonato il suo partito e soprattutto il governo.
Il senso politico è tutto qui: o portiamo a casa le riforme o la
gente ci spazzerà via. Tutti, mica solo io. Perché è esattamente questo –
è la sua convinzione – il senso delle primarie, l’urlo di quei 3
milioni di elettori ai gazebo, abbiano votato essi «per me, per Gianni o
per Pippo». Non vanno traditi, adesso.
E allora datemi il via libera per trattare, trattare e ancora
trattare, come dicevano un tempo i sindacalisti. Trattare con tutti,
certo, perché «è surreale» la polemica sull’incontrare o meno il
Cavaliere. Certo che lo vedrà. Probabilmente domani pomeriggio (e non al
Nazareno – lo avevamo scritto già ieri – ma in un luogo “neutro”), a
conclusione di questa ricognizione generale (tutti tranne i “marziani”
M5S e Lega) che Renzi ha intrapreso e di cui fornirà i risultati lunedì
in una nuova riunione della direzione. Nella quale chiederà «un mandato»
su un modello preciso fra i tre che sono tuttora sul tavolo.
Il segretario dunque non chiarisce ancora quale sistema preferisce. E
in questa situazione, certo Epifani non dice una cosa priva di senso
quando sottolinea il rischio che la proposta finale «la scelgano gli
altri». Ma la cosa importante per Renzi è portare a casa il risultato
tenendo assieme legge elettoarle, superamento del senato e riforma del
titolo V della Costituzione. Senza veti. Alfano, per capirci, è
d’accordo?
La sinistra interna (nella quale ormai c’è un abisso fra le posizoni
di Orfini e quelle dei bersaniani alla Fassina-D’Attorre, abbastanza
sostenuti da Cuperlo) ha scelto una precisa linea d’attacco: quella di
stanare Renzi sulla questione del governo.
Perché il leader era stato ancora una volta duro, non discostandosi
dalla sua posizione già nota (il governo deve muoversi – finora ha fatto
poco, addirittura ha parlato di «10 mesi di fallimenti» – e solo così
potrà andare avanti), e Cuperlo gli ha opposto l’idea di un nuovo
governo, un Letta bis, per sgombrare il campo da ambiguità. Fassina ha
fatto un passo in più: un Letta bis in cui entrino esponenti renziani.
Per vincolare il leader, legarlo alle sorti di Letta. Il quale con una
dichiarazione si è detto fiducioso sull’operazione-riforme però
dissentendo sul giudizio «sui primi 9 mesi di lavoro». L’altro ha
controreplicato: «Nei mercati rionali il giudizio sul governo è questo,
il gradimento è al minimo». Polemica apertissima e non ovattata.
Alla fine, la direzione ha approvato la relazione con 35 astenuti
(anche Cuperlo). Comunque corre, il segretario, volendo travolgere
resistenze e furbizie che si annidano ovunque, nella melmosa politica
italiana. Anche nel Partito democratico.
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