Se il segretario Pd rinvia l'impegno sul rilancio del governo Letta
non è solo perché prima vuole un voto sulla riforma elettorale.
L’illusione del momento è quella del pieno coinvolgimento di
Matteo Renzi nelle responsabilità di governo. Attraverso un corposo
innesto di ministri di sua fiducia o addirittura con un affidamento a
lui della guida dell’esecutivo.
Naturalmente è possibile che a febbraio ci siano avvicendamenti nell’esecutivo, e che qualche democratico della new wave vi
trovi posto. Ma credere che Renzi sia disposto a vincolarsi alle
fortune di qualsiasi governo nella corrente legislatura vuol dire non
aver capito nulla di lui: decine di volte, prima e dopo aver scalato il
Pd, ha espresso giudizi perentori sulla stagione delle intese larghe o
ristrette. Legando la propria promessa agli italiani alla nascita di un
governo coeso, forte e legittimato dal voto popolare.
Accantonata la fantasiosa ipotesi che Renzi possa proporsi come
presidente del consiglio di una maggioranza condivisa con Alfano, rimane
da capire come si sottrarrà alla pressione di chi (in maniera pressante
dopo l’accordo sulla riforma elettorale) vorrebbe limitare la sua
libertà di manovra e disinnescare definitivamente il rischio di elezioni
anticipate.
Non è un esercizio difficile, basta guardare al modo in cui Renzi sta trattando la vicenda di Impegno 2014,
il documento per il rilancio di coalizione e governo che Letta
(giustamente, dal suo punto di vista) vuol far sottoscrivere dai partiti
di maggioranza.
Letta vorrebbe incorporare nel nuovo programma molte delle proposte
contenute nel piano per il lavoro renziano, e avrebbe voluto chiudere la
pratica entro domenica. Se Renzi ha fatto saltare tutti i tempi non è
solo perché prima vuole incamerare un primo voto parlamentare sulla
riforma elettorale (vero) né perché il suo Jobs Act è un testo
ancora informe (vero). Soprattutto, Renzi non intende consegnare a Letta
e ai suoi ministri un progetto che per contenuti e ambizioni travalica
assai i confini politici e temporali della legislatura, vuole segnare
una totale rottura di continuità col passato e col presente, e sul quale
il segretario del Pd sogna addirittura di costruire – lui, non altri –
un nuovo patto sociale che vada da Landini alle partite Iva, da Renzo
Rosso ai ragazzi dei call center.
Com’è facile capire questa è tutta materia preziosa, da preservare
per la campagna elettorale e per gli eventuali primi “cento giorni” di
un Renzi premier eletto. Davvero improbabile che venga consegnata adesso
al ministro Saccomanni.
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