Che cosa c'è davvero dietro la questione posta dalla sinistra Pd.
Nel patto Renzi-Berlusconi c'è l'esito dello scontro pro o contro il
bipolarismo.
C’è una sproporzione evidente, che non può sfuggire agli
interessati, tra il calore polemico che si è sprigionato nel Pd e la
materia del contendere per come viene presentata. Lo scontro verbale con
Renzi in direzione è stato aspro e inconsueto per le liturgie di
partito, ma troverei offensivo credere davvero che Gianni Cuperlo stia
giocando questo momento così importante della propria vita politica in
una battaglia per il ripristino delle preferenze. E che questa possa
essere sul serio la bandiera issata da un’intera area del Pd, che fino a
pochi mesi fa guidava il partito con ampia maggioranza e che proviene
quasi tutta da una lunga storia e da una cultura politica complessa.
Non può essere questo. Non fino al punto di valutare ipotesi di
scissione (anche se sono convinto che la parola circoli più nelle
redazioni che nelle riunioni di corrente) nel momento in cui il Pd sta
governando il paese ed è alla vigilia di una sfida ancora più alta,
forse storica.
Né voglio rassegnarmi alla lettura che pure risulta la più facile. E
cioè che la Grande Battaglia Per Le Preferenze miri a conservare alla
sinistra interna – fortissima alla camera e al senato, e ancora forte
negli organismi locali di partito, quindi nel meccanismo di costruzione
del consenso – una chance di resistere all’inevitabile ricambio
di gruppi parlamentari della prossima tornata. Vorrebbe dire che si è
disposti a compromettere un intero disegno di riforma istituzionale,
atteso e rimandato per decenni, nel nome di un calcolo che più
partigiano non si potrebbe.
Ho l’impressione che a molti sia sfuggito il nocciolo vero di quanto è
accaduto tumultuosamente negli ultimi giorni. Al di là dell’importanza
di coinvolgere il principale partito d’opposizione e della necessità di
rafforzare i numeri in parlamento favorevoli alla riforma, perché è
stato davvero inevitabile per Renzi «resuscitare Berlusconi»?
Posso accettare, a fatica, che Scalfari o Curzio Maltese scambino il
calcolo politico di Renzi per acquiescenza o addirittura complicità con
il reprobo. Non posso credere a un tale appannamento di lucidità in
Cuperlo e in molti dei suoi che con lui hanno vissuto una stagione di
riforme tentate, per molti aspetti simile all’attuale.
Lo scenario di fondo da non perdere di vista è quello dello scontro
sordo e potente che negli ultimi mesi – anzi, già dalla stagione di
Monti – si sta svolgendo intorno al modo col quale uscire dalla Seconda
repubblica.
Si sono contrapposti due partiti trasversali. C’è il partito del
rilancio del bipolarismo, possibilmente in una versione più civile e
produttiva di quella vista all’opera nell’ultimo ventennio. E il partito
della restaurazione proporzionalista o, se vogliamo dirlo con termini
meno negativi, del ripristino di una “democrazia dei partiti” che per
essere tale deve riconsegnare spazio e potere di manovra a più partiti e
soprattutto a formazioni vecchie e nuove dell’area di centro.
Questo è lo scontro che s’è svolto e che ha visto in campo poteri
d’ogni tipo, non solo politici. La sentenza della Corte costituzionale
contro il Porcellum è stato uno dei punti alti del conflitto,
quando i proporzionalisti hanno visto più vicino il successo. E Matteo
Renzi (che, dovrebbe ormai essere chiaro, ha capacità e profondità di
visione politica di tutto rispetto) non ha mai smesso di dare questo
significato alla propria scalata al Pd. Altrimenti perché il 9
dicembre, nell’entusiasmo del primo momento dopo la vittoria delle
primarie e all’indomani della sentenza della Corte, avrebbe dovuto
annunciare al mondo che i veri sconfitti erano «i teorici dell’inciucio,
i nostalgici del proporzionale»? «Vi è andata male, il bipolarismo è
salvo», arrivò a urlare nella sala fiorentina dell’Obihall.
Ecco dunque nella testa di Renzi qual era la posta in palio del
congresso, nella convinzione che tanti altri lavorassero (magari
utilizzando il governo Letta-Alfano come cantiere) a rendere definitivo
un assetto proporzionale sinistra-centro. Un sistema politico nel quale
Renzi sarebbe stato fuori gioco: ce lo vediamo, relegato al ruolo di
segretario di un partito di sinistra costretto a stringere patti di
coalizione con partiti neocentristi? Cioè la negazione della sua natura
di leader maggioritario, e soprattutto la condanna a non poter vincere davvero le elezioni neanche se riesci a vincerle?
Ecco perché spunta l’asse con Berlusconi. Non per fare un favore al
pregiudicato o per indifferenza etica, ma perché solo questo asse
garantisce la riforma di sistema che serve al Pd per tornare a competere
e a vincere: c’è un reciproco interesse, certo, ma fra i due primi
contraenti del patto colui che ha più futuro davanti è ovviamente quello
che può trarne il beneficio più forte.
I maggioritari hanno vinto la prima mano. Sembrano avere in mano
tutte le carte buone, ma non è detto che la partita si chiuda come s’è
aperta. La minoranza democratica non ha i numeri per far saltare il
tavolo ma può trasformare il percorso parlamentare delle riforme in una
grande sofferenza per il partito che invece, grazie all’intraprendenza
del suo segretario, potrebbe avvantaggiarsi di più di un successo.
Come si collocano, Cuperlo, Orfini e gli altri, e ovviamente Bersani e
D’Alema, rispetto allo scontro di sistema che ho cercato di descrivere?
Può essere la reintroduzione delle preferenze la traduzione adeguata
del loro punto di vista? Pensano davvero di poter puntare su Alfano come
interlocutore non solo per una semplice battaglia di emendamenti, ma in
prospettiva per una inedita alleanza con l’ennesimo partitino
neocentrista?
Sono domande serie rivolte a persone serie, nella convinzione che
quanto più un sistema si bipolarizza (o addirittura si bipartitizza),
tanto più vanno coltivate all’interno dei grandi partiti la differenza,
la dialettica, il rispetto reciproco, una sana dinamica
maggioranza-minoranza. Fermo restando, come giustamente e vanamente
Bersani ha chiesto tante volte, che quando il partito ha deciso, la
decisione diventa la linea di tutti.
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