Il premier fa una sortita su legge elettorale e conflitto
d'interessi, e subito viene ricacciato. Forse è meglio puntare sulle
realizzazioni di governo.
Si può credere che Enrico Letta si sia tenuto intenzionalmente
alla finestra nelle ore in cui si stringeva l’accordo sulla riforma
elettorale. Oppure pensare che sia stato scansato e ridimensionato in
quel passaggio cruciale, come tante fonti hanno suggerito, nonostante il
fatto che tra Renzi e Berlusconi si stesse in sostanza decidendo anche
il destino del governo.
Comunque sia andata una settimana fa, non appena Letta ha provato a
infilare il piede nell’uscio del dibattito sulle riforme ha preso un
doloroso pestone. Ieri è stato sostanzialmente ricacciato indietro dopo
aver toccato (molto en passant, va detto) un tema caldo come le
preferenze e un altro tema che a sinistra troneggia come un totem, cioè
la regolamentazione del conflitto d’interessi. Sul primo punto lo ha
smentito addirittura il numero due della delegazione Pd al governo. E
sul conflitto d’interessi (che negli ultimi tempi era stato riscoperto
solo da Sel, nell’urgenza di sventolare una bandiera a proposito di
riforme) prima che imperversassero i berlusconiani i sarcasmi più acidi
erano venuti dall’interno della maggioranza del Pd.
Bisogna riconoscere che, sollevate da Letta, entrambe le questioni
non potevano che sembrare altrettante zeppe fra le ruote del carro della
riforma. Basti pensare al tempismo di riproporre proprio ora in faccia a
Berlusconi il conflitto d’interessi, dopo vent’anni di amnesie a
sinistra e mentre la magistratura sta risolvendo gran parte del
problema.
Al di là delle interviste, nei fatti non può che risultare
l’estraneità del governo rispetto a scelte ormai consegnate al
parlamento. Dunque l’incidente è destinato a rientrare, ma finisce nel
dossier dei dispetti incrociati fra premier e segretario del Pd.
È un faldone già troppo corposo, dopo neanche due mesi di convivenza.
Rileggendolo, l’impressione è che questo tipo di confronto nuoccia
soprattutto al presidente del consiglio ed è un peccato, perché da
palazzo Chigi Letta avrebbe la possibilità di proporsi all’opinione
pubblica come uomo di governo capace di risultati più concreti di quelli
“tutti politici” che sta conseguendo Renzi.
Certo, Letta può vantare un grande successo ottenuto proprio sul
terreno della manovra politica. Successo che rischia però di essere
effimero: è bastata la promozione a “consigliere” di un gentile
giornalista vestito con una tuta bianca, perché Alfano riscoprisse il
moderatismo di Berlusconi, e si allontanasse così il bel sogno della
nascita della famosa “destra repubblicana”.
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