di Marco Damilano
Un videomessaggio, come nel '93. Ma allora era
giovanile, ottimista e pieno di futuro. Ieri era gonfio, livoroso e
prigioniero del passato. Eppure, no: questa storia che ci tiene
prigionieri da vent'anni non è ancora finita
(L'Espresso02 agosto 2013)
«L'Italia è il Paese che amo...». Con queste parole era cominciata
l'avventura, quasi venti anni fa, il 26 gennaio 1994. «E' così che
questo Paese mi ripaga?», ha esclamato giovedì sera lo stesso uomo
in un altro videomessaggio, più sbalordito che indignato.
Segno che al di là della narrazione del martirio abilmente messa in scena negli ultimi giorni, Silvio Berlusconi si aspettava un'assoluzione o almeno un annullamento della sentenza di condanna con rinvio a Milano che avrebbe consegnato il processo alla solita prescrizione.
Così appariva il Cavaliere un'ora prima della lettura della sentenza, al telefono con Enrico Mentana. Alle 19 e 40, invece, il gioco si è spezzato. Finale di partita, Berlusconi condannato.
Nel video-messaggio del '94 Berlusconi era un uomo relativamente giovane, 57 anni, ottimista, entusiasta. Desideroso di incarnare il nuovo, di spazzare via i vecchi partiti di governo, la Dc, il Psi di Craxi che pure lo avevano beneficiato con la prima di tutte le leggi ad personam, la legge Mammì sull'emittenza televisiva. «La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi», diceva Berlusconi in quel messaggio. «L'auto-affondamento dei vecchi governanti schiacciati dal peso del debito pubblico e dal sistema di finanziamento illegale dei partiti lascia il paese incerto al passaggio di una nuova Repubblica».
La magistratura ha eliminato con le inchieste «i partiti del pentapartito che avevano garantito la libertà e il benessere degli italiani», ha detto invece oggi. «Ho rassegnato oggi stesso le mie dimissioni a ogni carica sociale nel gruppo che ho fondato», annunciava nel 1994 il neo-candidato Berlusconi. La Cassazione, invece, l'ha inchiodato a una semplice, noiosissima verità: il conflitto di interessi esiste, Berlusconi è sempre stato il vero proprietario della Fininvest e di Mediaset, al punto di organizzare la frode fiscale di sette milioni di euro, come certificato dai due processi di Milano e dalla sentenza della Cassazione. Fedele Confalonieri, brav'uomo, è sempre stato un presidente formale, il Capo è sempre stato lui, il Cavaliere.
Il verdetto è una condanna definitiva per l'uomo che sognava il nuovo miracolo italiano e ha costretto gli italiani a vivere le sue ossessioni, i suoi incubi. E' apparso gonfio, impastato, irriconoscibile, vagamente brezneviano. «Quasi alla fine della mia vita attiva», ha ammesso a un certo punto, come improvvisamente invecchiato, come se si sentisse già la fine addosso. Prigioniero del passato, dunque costretto a ripeterlo: «Resto in campo, serve una nuova Forza Italia».
Obiettivo tardivo, dopo venti anni sprecati e un paio di partiti fondati e rottamati perché non soddisfacevano più il Capo. In fondo il Predellino del 2007 nasceva dall'idea che la vecchia Forza Italia non funzionasse più.
Ancor più di Berlusconi, sul piano politico, escono condannati gli uomini del Pdl, incapaci in tutti questi anni di organizzare una parvenza di dialettica democratica e di successione.
Il ministro dell'Interno Angelino Alfano, l'uomo che istituzionalmente ha il compito di tutelare la sicurezza e l'ordine pubblico, ha trascorso lunghe ore al capezzale del suo Leader, ora pregiudicato. I sottosegretari Micaela Biancofiore (in buona fede) e Gianfranco Miccichè, che restituiscono a Berlusconi le deleghe del governo, attribuendo a lui il potere di nomina.
E il tavolo da pranzo di palazzo Grazioli, attraversato dal dubbio: oggi comincerà il dopo-Berlusconi? E chi lo guiderà? Per ora Berlusconi appare come una specie di Fidel Castro senza neppure il fratello Raul, insostituibile e ingombrante.
Anche se, per ora, un Berlusconi ferito a morte ma non completamente fuori scena, può far comodo a molti, a partire da chi aspira alla successione o alla guida della nuova Forza Italia: che sia la figlia Marina o Daniela Santanchè.
E può rassicurare, almeno in prima battuta, chi teme che la reazione del Pdl faccia cadere il governo Letta. Per ora non ci sarà nessuna crisi: Berlusconi «in campo» significa soprattutto «in maggioranza», l'ultima riserva di influenza che gli resta. Non ci sono più le forze e la presa nel Paese per organizzare un movimento nel Paese che abbia un unico punto programmatico: Silvio libero.
Segno che al di là della narrazione del martirio abilmente messa in scena negli ultimi giorni, Silvio Berlusconi si aspettava un'assoluzione o almeno un annullamento della sentenza di condanna con rinvio a Milano che avrebbe consegnato il processo alla solita prescrizione.
Così appariva il Cavaliere un'ora prima della lettura della sentenza, al telefono con Enrico Mentana. Alle 19 e 40, invece, il gioco si è spezzato. Finale di partita, Berlusconi condannato.
Nel video-messaggio del '94 Berlusconi era un uomo relativamente giovane, 57 anni, ottimista, entusiasta. Desideroso di incarnare il nuovo, di spazzare via i vecchi partiti di governo, la Dc, il Psi di Craxi che pure lo avevano beneficiato con la prima di tutte le leggi ad personam, la legge Mammì sull'emittenza televisiva. «La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi», diceva Berlusconi in quel messaggio. «L'auto-affondamento dei vecchi governanti schiacciati dal peso del debito pubblico e dal sistema di finanziamento illegale dei partiti lascia il paese incerto al passaggio di una nuova Repubblica».
La magistratura ha eliminato con le inchieste «i partiti del pentapartito che avevano garantito la libertà e il benessere degli italiani», ha detto invece oggi. «Ho rassegnato oggi stesso le mie dimissioni a ogni carica sociale nel gruppo che ho fondato», annunciava nel 1994 il neo-candidato Berlusconi. La Cassazione, invece, l'ha inchiodato a una semplice, noiosissima verità: il conflitto di interessi esiste, Berlusconi è sempre stato il vero proprietario della Fininvest e di Mediaset, al punto di organizzare la frode fiscale di sette milioni di euro, come certificato dai due processi di Milano e dalla sentenza della Cassazione. Fedele Confalonieri, brav'uomo, è sempre stato un presidente formale, il Capo è sempre stato lui, il Cavaliere.
Il verdetto è una condanna definitiva per l'uomo che sognava il nuovo miracolo italiano e ha costretto gli italiani a vivere le sue ossessioni, i suoi incubi. E' apparso gonfio, impastato, irriconoscibile, vagamente brezneviano. «Quasi alla fine della mia vita attiva», ha ammesso a un certo punto, come improvvisamente invecchiato, come se si sentisse già la fine addosso. Prigioniero del passato, dunque costretto a ripeterlo: «Resto in campo, serve una nuova Forza Italia».
Obiettivo tardivo, dopo venti anni sprecati e un paio di partiti fondati e rottamati perché non soddisfacevano più il Capo. In fondo il Predellino del 2007 nasceva dall'idea che la vecchia Forza Italia non funzionasse più.
Ancor più di Berlusconi, sul piano politico, escono condannati gli uomini del Pdl, incapaci in tutti questi anni di organizzare una parvenza di dialettica democratica e di successione.
Il ministro dell'Interno Angelino Alfano, l'uomo che istituzionalmente ha il compito di tutelare la sicurezza e l'ordine pubblico, ha trascorso lunghe ore al capezzale del suo Leader, ora pregiudicato. I sottosegretari Micaela Biancofiore (in buona fede) e Gianfranco Miccichè, che restituiscono a Berlusconi le deleghe del governo, attribuendo a lui il potere di nomina.
E il tavolo da pranzo di palazzo Grazioli, attraversato dal dubbio: oggi comincerà il dopo-Berlusconi? E chi lo guiderà? Per ora Berlusconi appare come una specie di Fidel Castro senza neppure il fratello Raul, insostituibile e ingombrante.
Anche se, per ora, un Berlusconi ferito a morte ma non completamente fuori scena, può far comodo a molti, a partire da chi aspira alla successione o alla guida della nuova Forza Italia: che sia la figlia Marina o Daniela Santanchè.
E può rassicurare, almeno in prima battuta, chi teme che la reazione del Pdl faccia cadere il governo Letta. Per ora non ci sarà nessuna crisi: Berlusconi «in campo» significa soprattutto «in maggioranza», l'ultima riserva di influenza che gli resta. Non ci sono più le forze e la presa nel Paese per organizzare un movimento nel Paese che abbia un unico punto programmatico: Silvio libero.
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