Cronaca di una giornata drammatica. Gli scontri armati non si
fermano in molti punti della città. Devastazioni nei luoghi di culto:
alle fiamme una chiesa cristiana. Il nostro reportage dal Cairo
La resa dei conti è iniziata. Le forze di sicurezza egiziane
hanno sferrato ieri quello che potrebbe essere il colpo di grazia agli
oppositori del colpo di stato del 30 giugno scorso. Circa 28 marce erano
state pianificate ieri dai Fratelli Musulmani in diversi punti del
Cairo. La conta dei morti al momento parla di una cinquantina di vittime
solo nella capitale, cinque a Fayoum a sud del Cairo, otto a Damietta,
altre cinque ad Alessandria. Numeri impietosi destinati a crescere.
Piazza Ramsees, poco distante da piazza Tahrir che nel frattempo è
stata recintata dai tank dell’esercito, ieri sera era un campo di
battaglia. Anche questa mattina la situazione non è tranquilla. Si parla
di decine di morti i cui corpi sarebbero stati trasportati all’interno
dell’adiacente moschea di Fath e in una clinica limitrofa. Si presta
soccorso in condizioni di grave emergenza per la carenza di medicine e
posti letto. Lealisti e poliziotti si sono appostati sui tetti degli
edifici che circondavano la piazza e hanno cominciato a lanciare bombe
molotov e a sparare contro i manifestanti. Dinamica simile a quella che
aveva portato al massacro di Rabaa al-Adaweyya tre giorni fa. I
lacrimogeni della polizia stanno sollevando un denso fumo nero
proveniente dalla piazza. Al momento della nostra ultima visita a
Ramsees, intorno a mezzogiorno di ieri, la piazza era occupata da uomini
di ogni età, radunatisi lì per la preghiera e pronti a marciare verso
la Corniche che costeggia il Nilo.
Ma gli scontri nella capitale si sono svolti ovunque. Sul Ponte del
15 maggio, che porta al quartiere residenziale di Zamalek, sono ancora
in corso scene di guerriglia tra pro e anti Morsi. Dopo poche ore di
combattimenti, centinaia di sostenitori dei Fratelli Musulmani, chiusi
in una morsa, si sono ritrovati sotto il tiro dei proiettili delle forze
di sicurezza sparati dai lati del ponte. Alcuni di loro, per salvarsi
dalle pallottole, hanno preso a lanciarsi nel Nilo con un volo di decine
di metri. Mentre gli elicotteri militari sorvolano da ore la città,
colpi di armi automatiche sono udibili in gran parte dei quartieri del
Cairo, da Ramsees a Zamalek, dal Ponte 6 ottobre, a Giza e a Dokki.
I punti nevralgici restano Piazza Ramsees e la Corniche el-Nil. Fra
questi due estremi è infatti situata piazza Tahrir e un’eventuale
avanzata delle marce potrebbe trascinare il Cairo in un enorme campo di
battaglia. Per questo motivo l’esercito ha chiuso ogni accesso alla
piazza simbolo del sostegno ai militari.
Ma gli episodi di violenza hanno portato anche a devastazioni dei
luoghi di culto. Al Arabiya ha informato che alcuni dei sostenitori dei
Fratelli Muslmani hanno dato alle fiamme una chiesa cristiana nel
quartiere di Maadi, mentre fonti non confermate parlano di scritte e
graffiti sulle mura di altri luoghi di culto cristiani.
Per le strade si susseguono check point di militari e civili,
anch’essi armati, che sorvegliano gli ingressi circostanti il centro del
Cairo. Tutti gli altri quartieri lontani dagli scontri sembrano
deserti. I residenti di Mohandessin, Zamalek e attorno piazza Tahrir,
restano chiusi all’interno delle loro abitazioni e i negozi sono
serrati. La principale preoccupazione è che il momentaneo stato di
guerra possa protrarsi anche per i giorni a venire lasciando l’Egitto
nel caos e nella paura.
Gli scontri di ieri erano attesi. Le marce indette dagli oppositori
al governo insediato dai militari, hanno mobilitato sia membri della
Fratellanza musulmana, sia coloro che si sono sentiti in dovere di
manifestare il loro dissenso dopo le stragi di Rabaa e di el-Nahda di
tre giorni fa. Il movimento Tamarod, fermo sostenitore dell’esercito e
del governo presieduto da Adli Mansour, ieri mattina ha diramato un
comunicato incitando la polizia a fare tutto il necessario per difendere
gli egiziani dai pro-Morsi. «Chiediamo alla polizia di intraprendere
ogni misura necessaria per reprimere le manifestazioni di dissenso»
recitava il messaggio rivolto dal movimento. Nel frattempo, il portavoce
del Fronte di Salvezza Nazionale (FSN) Khaled Daud, il principale
partito al governo, ha da poco rassegnato le dimissioni condannando la
bruta repressione delle manifestazioni di oggi da parte delle forze di
sicurezza. Le dimissioni di Daud seguono quelle di ieri avanzate dal
leader del FSN, Muhammad el-Baradei. Altro segno della frattura
esistente all’interna del gabinetto governativo egiziano. L’illusione
del colpo di stato “guidato dal popolo” è già finita.
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