giovedì 8 agosto 2013

CARO EPIFANI, HAI RAGIONE: LA LEGALITÀ È UN PRINCIPIO INDEROGABILE. MA LO È ANCHE NEL PARTITO

Giorgio Tonini

Ieri il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, ha rilasciato una ottima intervista sul Corriere della sera, con la quale ha ricordato al Pdl che per il Pd la legalità, il principio costituzionale per il quale la legge è uguale per tutti, non può essere oggetto di nessuno scambio politico. Tutto il partito si è riconosciuto in questa posizione, forte e chiara. Io stesso ho sostenuto convintamente ieri pomeriggio la linea di Epifani in un confronto con l'on. Maria Stella Gelmini, alla trasmissione di Radiorai Baobab.
Se riuscirò ad intervenire questa sera alla Direzione nazionale del partito, dirò ad Epifani che il principio di legalità deve essere considerato sacro anche nella vita interna del Pd: anche perché la vita interna di un partito non è un fatto privato, ma pubblico, in quanto riguarda la qualità della democrazia nel suo insieme. Come dimostra, su ben altra scala, proprio la vicenda del Pdl.
Ebbene, la legalità interna al Pd è oggi messa in discussione. Il segretario per un verso, e i vicepresidenti dell'Assemblea, Marina Sereni e Ivan Scalfarotto (la presidente Bindi, come è noto, si è dimessa) per altro verso, continuano infatti, settimana dopo settimana, a rinviare un atto che hanno l'inderogabile dovere di compiere: convocare il Congresso, cioè rimettere il loro mandato e quello degli altri organi del partito nelle mani degli iscritti e degli elettori democratici, perché eleggano il nuovo segretario e la nuova assemblea.
Secondo lo Statuto, la convocazione del Congresso doveva essere fatta entro fine aprile. Siamo ad agosto inoltrato e di questo atto dovuto si sono perse le tracce. Si tratta di un ritardo intollerabile, dovuto ad una posizione politica inaccettabile. Una parte del partito, del tutto legittimamente, intende modificare lo Statuto, per superare l'identificazione tra segretario e candidato premier e per attribuire ai soli iscritti (e non più a tutti gli elettori) il diritto di eleggere il segretario. Senonché, questa parte del partito, che ha goduto di una larghissima maggioranza negli organismi dirigenti per tre anni e mezzo, sembra essersi decisa a mettere la questione all'ordine del giorno solo a tempo scaduto, cioè dopo la scadenza di fine aprile entro la quale lo Statuto prescrive di convocare il Congresso. L'obiezione sul tempo scaduto potrebbe essere superata se ci fosse nel partito un consenso non dirò unanime, ma almeno largamente maggioritario. E invece questo consenso non c'è, come si è dimostrato nell'ultima riunione della Direzione.
Rispettare la legalità significherebbe allora prendere atto della impossibilità di modificare lo Statuto prima del Congresso e fare di queste modifiche uno degli oggetti del Congresso stesso, procedendo a convocarlo senza ulteriori indugi. E invece, Epifani, Sereni e Scalfarotto continuano a rinviare la convocazione del Congresso, sulla base della motivazione che non si è ancora raggiunta un'intesa sulla modifica dello Statuto. Sarebbe come rinviare "sine die" le elezioni, fino a quando in Parlamento non si raggiunga un accordo sulla modifica della legge elettorale. Nessuno potrebbe considerare compatibile con la legalità democratica un comportamento del genere.
Caro Epifani, c'è un solo modo per impedire la violazione continuata della legalità interna al Pd: chiedi oggi alla Direzione di prendere atto della impossibilità di trovare un accordo sulla modifica dello Statuto e di invitare pertanto i vicepresidenti dell'Assemblea a procedere senza alcun ulteriore indugio a convocare il Congresso. Cari Sereni e Scalfarotto, in difetto di questa esplicita richiesta, procedete d'ufficio. O rassegnate le dimissioni.

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