CARO EPIFANI, HAI RAGIONE: LA LEGALITÀ È UN PRINCIPIO INDEROGABILE. MA LO È ANCHE NEL PARTITO
Giorgio Tonini
Ieri il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, ha rilasciato una ottima
intervista sul Corriere della sera, con la quale ha ricordato al Pdl che
per il Pd la legalità, il principio costituzionale per il quale la
legge è uguale per tutti, non può essere oggetto di nessuno scambio
politico. Tutto il partito si è riconosciuto in questa posizione, forte e
chiara. Io stesso ho sostenuto convintamente ieri pomeriggio la linea
di Epifani in un confronto con l'on. Maria Stella Gelmini, alla
trasmissione di Radiorai Baobab.
Se riuscirò ad intervenire questa
sera alla Direzione nazionale del partito, dirò ad Epifani che il
principio di legalità deve essere considerato sacro anche nella vita
interna del Pd: anche perché la vita interna di un partito non è un
fatto privato, ma pubblico, in quanto riguarda la qualità della
democrazia nel suo insieme. Come dimostra, su ben altra scala, proprio
la vicenda del Pdl.
Ebbene, la legalità interna al Pd è oggi messa
in discussione. Il segretario per un verso, e i vicepresidenti
dell'Assemblea, Marina Sereni e Ivan Scalfarotto (la presidente Bindi,
come è noto, si è dimessa) per altro verso, continuano infatti,
settimana dopo settimana, a rinviare un atto che hanno l'inderogabile
dovere di compiere: convocare il Congresso, cioè rimettere il loro
mandato e quello degli altri organi del partito nelle mani degli
iscritti e degli elettori democratici, perché eleggano il nuovo
segretario e la nuova assemblea.
Secondo lo Statuto, la convocazione
del Congresso doveva essere fatta entro fine aprile. Siamo ad agosto
inoltrato e di questo atto dovuto si sono perse le tracce. Si tratta di
un ritardo intollerabile, dovuto ad una posizione politica
inaccettabile. Una parte del partito, del tutto legittimamente, intende
modificare lo Statuto, per superare l'identificazione tra segretario e
candidato premier e per attribuire ai soli iscritti (e non più a tutti
gli elettori) il diritto di eleggere il segretario. Senonché, questa
parte del partito, che ha goduto di una larghissima maggioranza negli
organismi dirigenti per tre anni e mezzo, sembra essersi decisa a
mettere la questione all'ordine del giorno solo a tempo scaduto, cioè
dopo la scadenza di fine aprile entro la quale lo Statuto prescrive di
convocare il Congresso. L'obiezione sul tempo scaduto potrebbe essere
superata se ci fosse nel partito un consenso non dirò unanime, ma almeno
largamente maggioritario. E invece questo consenso non c'è, come si è
dimostrato nell'ultima riunione della Direzione.
Rispettare la
legalità significherebbe allora prendere atto della impossibilità di
modificare lo Statuto prima del Congresso e fare di queste modifiche uno
degli oggetti del Congresso stesso, procedendo a convocarlo senza
ulteriori indugi. E invece, Epifani, Sereni e Scalfarotto continuano a
rinviare la convocazione del Congresso, sulla base della motivazione che
non si è ancora raggiunta un'intesa sulla modifica dello Statuto.
Sarebbe come rinviare "sine die" le elezioni, fino a quando in
Parlamento non si raggiunga un accordo sulla modifica della legge
elettorale. Nessuno potrebbe considerare compatibile con la legalità
democratica un comportamento del genere.
Caro Epifani, c'è un solo
modo per impedire la violazione continuata della legalità interna al Pd:
chiedi oggi alla Direzione di prendere atto della impossibilità di
trovare un accordo sulla modifica dello Statuto e di invitare pertanto i
vicepresidenti dell'Assemblea a procedere senza alcun ulteriore indugio
a convocare il Congresso. Cari Sereni e Scalfarotto, in difetto di
questa esplicita richiesta, procedete d'ufficio. O rassegnate le
dimissioni.
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