Il messaggio del Pontefice
L’invito, privo di retorica, a continuare il nostro cammino senza temere di andare in pezzi
Francesco sta mettendo in moto — con la semplicità di chi fa un
lavoro necessario, difficile ma non drammatico — cambiamenti epocali, ma
lo fa senza alcun pathos progressista e senza ansie tormentate. Sarà
difficile, proprio per il modo in cui le compie, che le sue
trasformazioni possano scatenare l’enfasi scandalizzata degli avversari
del Concilio o i dubbi tremebondi e amletici di anime belle timorose
delle conseguenze di ogni passo ardito. Il suo stile disarma a priori
tali resistenze. Se fosse stato Papa quando i due astronauti sovietici
primi pionieri dello spazio dichiararono pateticamente di non aver visto
Dio, Francesco non avrebbe probabilmente reagito con l’accorata
tristezza di Paolo VI, ma avrebbe magari mandato un telegramma per
ringraziarli di averlo rassicurato, visto che sarebbe stato imbarazzante
se quei due avessero veduto Dio che invece non si era mai fatto vedere
direttamente dal Papa e se Dio fosse visibile lassù —o laggiù, si fa per
dire— piuttosto che dalle nostre parti.
In questo senso Francesco si è rivelato, finora,
straordinariamente atto a reggere il tremendo peso che porta; un vero
grande leader «semplice come una colomba e astuto come un serpente»,
come esorta il Vangelo e come dovrebbe essere ogni capo e, prima ancora,
ogni uomo. C’è una grande ironia cristiana e Francesco ne è maestro.
Siamo tutti vasi di coccio, ha ricordato, sapendo di esserlo anche lui.
Non è una cosa da niente, perché il coccio si rompe facilmente e le
occasioni di urto con oggetti duri e contundenti sono tante. Ma il tono
con cui lo dice, privo di ogni retorico ottimismo, aiuta a continuare il
nostro bizzarro cammino senza preoccuparsi troppo delle botte che si
ricevono e senza rovinarsi l’esistenza con la continua paura del finale
in cui andiamo in pezzi. E questo perché le sue parole fanno sentire
concretamente l’infinito significato e valore che c’è in ogni precario
vaso di coccio, in ognuno di noi, e che il patatrac finale non vanifica.
Sono verità che sono già state dette e che conosciamo, ma che
hanno bisogno di essere ridette con forza e originalità per non
spegnersi, così come c’è bisogno che una vera poesia ogni tanto ci
faccia scoprire nuovamente il colore dell’alba o del mare. Naturalmente
il Papa sa bene che alcuni — molti — vasi di coccio sono più fragili di
altri e si rompono troppo presto; l’astuzia cristiana del serpente è
necessaria ai vasi più fragili anche per allenarsi a scansare ove
possibile i colpi fatali, magari a mettersi insieme per dare un buon
colpo a qualche prepotente vaso di ferro che così impara ad andare in
pezzi anche lui. Con quell’immagine, di per sé volutamente non
originale, Francesco spariglia, senza drammi, ancora una volta il gioco.
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