Il nuovo presidente del Mali è Ibrahim Boubacar Kéita, per tutti Ibk.
Tre lettere che vanno a sostituire Att, cioè Amadou Toumani Touré, il
presidente deposto da una giunta militare nel marzo del 2012.
Il suo avversario, Soumaila Cissé, ha ammesso la sconfitta la sera
del 12 agosto, giorno del ballottaggio, senza neanche aspettare i
risultati definitivi.
Al primo turno Kéita aveva ottenuto il 39,7 per cento dei voti, ma a
Bamako, dove è particolarmente popolare, in molti quartieri aveva preso
la maggioranza assoluta, soprattutto grazie ai giovani e ai tassisti, scrive Slate Afrique.
“‘È vero, ho votato per Ibk’, dice con orgoglio Issa Konaté, che mostra
il poster del suo candidato preferito, attaccato sul lunotto posteriore
della sua auto: ‘Ibk ha molta esperienza. Sono sicuro che saprà davvero
lavorare per il Mali’. A 68 anni, Ibk è finalmente riuscito ad arrivare
in cima dopo due fallimenti consecutivi, nel 2002 e nel 2007. È
descritto come un politico esperto che lavora da oltre vent’anni
nell’amministrazione dello stato. Dopo aver studiato storia e relazioni
internazionali presso l’università di Dakar e alla Sorbona, Ibrahim
Boubacar Kéita ha lavorato molti anni per un think tank
francese e per organizzazioni non governative. Entrato nella vita
politica del Mali, è diventato ministro degli esteri nel 1993, carica
che ha ricoperto per un anno prima di accettare la carica di primo
ministro (1994-2000) e poi creare il proprio partito nel 2001, l’Unione
per il Mali. Ibk ha la reputazione di essere un uomo forte, in grado di
gestire gli scioperi studenteschi e di negoziare con i tuareg. Un uomo
anche pieno di contraddizioni, come quella di far parte
dell’Internazionale socialista, senza mai aver dato un’impronta
socialista alla sua politica. Questo francofilo bon vivant,
però, dovrà trovare una soluzione alla crisi in cui il paese è immerso
da più di un anno. Certo, il suo margine di manovra sarà limitato,
compresa l’assistenza finanziaria concessa dalla comunità
internazionale. E dovrà avviare delle nuove trattative con i ribelli
tuareg, le cui richieste di autonomia sono ancora vive”.
Comunque il risultato è una vittoria per il paese, scrive dal Burkina Faso l’Observateur Paalga.
“Il voto segna il ritorno del Mali alla normalità costituzionale. La
discesa all’inferno era cominciata con la sconfitta dell’esercito
davanti ai ribelli tuareg, nel gennaio del 2012, seguita dal golpe del
capitano Haya Sanogo il 22 marzo 2012, dal’l'invasione del nord da parte
di gruppi islamici e da una transizione durata un anno e mezzo.
Nonostante la liberazione realizzata grazie a una coalizione armata
internazionale, si temeva che gli islamisti sabotassero le elezioni, ma
per fortuna tutto è filato via senza intoppi. Se per molti osservatori,
anche i maliani, il voto sembrava una sfida, è stato un successo oltre
ogni aspettativa”.
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