Perché ora Matteo Renzi non vuole correre per il governo coprendo
la nomenklatura Pd. E perché loro (legittimamente) vogliono proprio
questo.
Matteo Renzi non vuole fare la foglia di fico. Gran parte del
gruppo dirigente del Pd vuole fargli fare esattamente questo. La foglia
di fico.
Naturalmente non la chiamerebbero mai così. Non per ipocrisia, ma
perché quella che il sindaco di Firenze chiama foglia di fico è in
realtà una concezione della democrazia dei partiti che rende
desiderabile – anzi un obiettivo da perseguire scientificamente – ciò
che per Renzi è la negazione del suo modo di concepire la politica.
Il discorso della foglia di fico va affrontato su due livelli.
Il primo potremmo anche affrontarlo sostituendo all’immagine della
foglia di fico quella della madonna pellegrina. Renzi è l’icona del
cambiamento che il Pd accetta di offrire all’Italia nonostante tutte le
sgarberie subìte dall’ex rottamatore, portandolo in giro come gli è
capitato, in quanto formidabile macchina acchiappa-voti, con tutti i
candidati sindaci dell’ultima tornata amministrativa.
A Renzi questa storia non va giù perché non vuole fare da copertura
un’operazione trasformistica, che lascia il Pd com’è, nelle mani di chi
l’ha coltivato negli ultimi anni, con l’apprezzabile vantaggio per tutti
di aver vinto (si suppone) le elezioni, con i benefici a cascata che ne
deriverebbero.
Non so se sia vero, come dice il sindaco, che gli elettori
intuirebbero il mezzo imbroglio e farebbero a pezzi anche la madonna
pellegrina. Forse sì, forse anche no viste le recenti folgorazioni che
hanno preso parti consistenti dell’elettorato italiano.
Qui subentra il secondo livello del discorso foglia di fico. Non ne parla Renzi, non ne parla nessuno. Invece è la sostanza.
Come funzionerebbe col giovane Matteo premier sostenuto da un partito
che si è per tempo sottratto al suo controllo, si è reso immune dal
contagio novista, in altre parole ha spedito il candidato a palazzo
Chigi più per disfarsene che perché lo consideri il migliore e più
sincero interprete del proprio riformismo?
Non potrebbe funzionare da nessuna parte del mondo, nel 2014. Invece
funzionava così in Italia, ai tempi della Prima repubblica e della Dc. E
hanno provato a farla funzionare così anche dopo, tra il ’96 e il ’98,
quando c’erano Prodi da una parte e Pds e Ppi dall’altra.
È una concezione della democrazia che viene aggettivata «dei
partiti». Viene considerata un valore. Perché, come ai tempi della Dc
appunto, in questo sistema a chiunque è negata la possibilità di
concentrare nelle proprie mani troppo potere. E a chi governa è imposto
di fare i conti con un partito che è il suo, ma non solo il suo.
Solo che, nel caso di Matteo Renzi, a lui verrebbe chiesto di
rovesciare l’Italia come un pedalino da palazzo Chigi, facendosi forte
di un partito che proprio nel momento di lanciarlo verso il governo gli
si sarebbe in qualche modo dichiarato estraneo. Politicamente.
Geneticamente.
Con l’attuale sistema istituzionale italiano, un presidente del
consiglio privo di un controllo effettivo della propria maggioranza non
ha alcun potere e anzi rischia di trovarsi presto nei guai. Chiedere a
Prodi, chiedere a Berlusconi. Renzi ha parlato con entrambi, in tempi
diversi. Credo che lo abbiano avvertito. Credo che lui, come si dice,
abbia mangiato la foglia. Di fico.
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