La Stampa 14/08/2013
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Riparte il dialogo con i palestinesi
Oggi primo round fra le polemiche per le nuove case Hamas punta al boicottaggio.
Il conto alla rovescia è terminato. Oggi, salvo terremoti
politici, il ministro della Giustizia israeliano Tzipi Livni e il
consigliere di Netanyahu Yitzhak Molcho dovrebbero sedersi di fronte ai
palestinesi Saeb Erekat e Mohammad Shtayye per rilanciare, seriamente, i
negoziati di pace. Il condizionale in queste ore non è un vezzo, date
le nubi addensatesi in settimana sugli sforzi statunitensi. Proprio
ieri, riaffermando l’impegno conciliatore della Casa Bianca, il
segretario di Stato americano Kerry ha confermato la volontà del
presidente palestinese Abu Mazen di continuare il dialogo nonostante le
polemiche degli ultimi giorni sui nuovi insediamenti ebraici in
Cisgiordania, insediamenti che, come ha ripetuto Kerry a Netanyahu,
Washington continua a ritenere «illegittimi».
L’annuncio del via libera alla costruzione di 900 nuove
abitazioni al di là della linea verde (quella dei confini del ’67) ha
sollevato parecchie proteste da parte dei palestinesi che, per bocca del
portavoce dell’Olp Yasser Abed Rabbo, denunciano il rischio di un
colloquio ucciso prima ancora di nascere (anche perché, sostiene l’Olp,
dall’inizio di luglio a oggi Israele ha autorizzato l’edificazione di
oltre 3000 case nelle aree occupate dalle colonie, in barba alle
promesse reiterate agli americani).
Retrocedere in questo momento però non conviene a nessuna
delle due parti, come prova l’arrivo imminente del segretario generale
delle Nazioni Unite Ban Ki-moon che, evidentemente, non vuole lasciare
intentato alcuno sforzo diplomatico. Anche perché se l’Autorità
Nazionale Palestinese deve fare buon viso alla concessione di Netanyahu
alla destra nazional-sionista, sa che può contare in cambio sul rilascio
- atteso per oggi - di 26 connazionali detenuti di lunghissima data
nelle carceri israeliane (quasi tutti arrestati prima degli accordi di
Oslo). Si tratterebbe dei primi di una lunga lista di 104 nomi prossimi a
essere rimandati in Cisgiordania e a Gaza, giacché la Corte Suprema
israeliana ha respinto il ricorso di Almagor, l’associazione delle
famiglie delle vittime contraria al rilascio come molti nel Paese,
spaccato sull’opportunità di abbuonare l’ergastolo a chi ha ucciso
ferocemente civili e militari. La Corte, pur comprendendo «la pena» dei
parenti, ha stabilito che il governo avesse «il potere» di arrivare a
quella pur «sofferta» scelta.
Molte cose si muovono in queste ore in Terra Santa. Mentre
israeliani e palestinesi provano a ripartire, il confine sud, quello con
l’Egitto, a ridosso della esplosiva Gaza da cui Hamas boicotta il
rilancio dei negoziati, è in tumulto. Ieri il sistema anti missilistico
Iron Dome è entrato in azione per la prima volta sul cielo della città
israeliana di Eilat, sulla costa turistica del Mar Rosso, e ha abbattuto
un razzo lanciato dal Sinai verosimilmente dai fondamentalisti islamici
contro cui sta combattendo anche l’esercito egiziano.
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