Non era mai accaduto, nella storia dei partiti politici, che un
congresso venisse fissato con cenno del capo. Come Humphrey Bogart
quando fa suonare la Marsigliese in una delle scene più celebri di
Casablanca, ieri Epifani con un seppur lievissimo ondeggiare della
testa, uno sporgere il mento di pochi millimetri, magari un
impercettibile ammiccamento con gli occhi, ha scritto un pezzetto di
storia.
Forse voleva dire, alla Marina Sereni che si era trovata
improvvisamente sul banco dei giudici che devono emettere il verdetto,
sì, tagliamo corto: ma nel senso, poi si vede. Troppo tardi: aveva
annuito, il Capo aveva mosso il capo. Lo sventurato rispose, come la
Monaca di Monza.
Ed è stato subito Pirandello. Bene, abbiamo una data (renziani e
compagni di strada dei renziani), no, nulla di deciso (apparato di fede
bersaniana): come il signor Ponza e la signora Frola, ognuno accusa
l’altro di essere pazzo.
Ecco, nel Romanzo Congressuale finora mancava il capito
dell’Equivoco. Pensavamo che fossero sufficienti le kafkiana pagine
sulle regole, ora abbiamo anche una scena fra Ionesco e Age e Scarpelli.
“Ma che volevi dirmi, Guglielmo?”, piena commedia all’italiana.
Ma si può? Può un gruppo dirigente normale, cioè non prigioniero di
macchinazioni, sue o di altri, non nervoso e timoroso, impasticciarsi in
questo modo? Che ci voleva a dire, già nella relazione, bene amici e
compagni, la primarie le facciamo il 24 novembre. Se poi nel frattempo
scoppia la guerra mondiale, o arriva un tifone, o c’è un’invasione delle
cavallette, ci rivediamo e decidiamo il da farsi. Ma intanto fissiamo
un punto fermo. No: sempre nel vago. Continuiamo così, facciamoci del
male.
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