Il documento Boccia scuote il Pd, denuncia la paralisi italiana e
le incapacità democratiche. E rilancia la domanda: davvero ormai la
partita è tutta fra Letta e Renzi?
Si possono avere opinioni contrastanti sul documento
congressuale (il terzo fra quelli resi pubblici, non l’ultimo perché
presentiamo oggi quello di Beppe Fioroni) messo a punto da Francesco
Boccia, cioè dal centravanti di sfondamento (alle lettera e in metafora)
della squadra di Enrico Letta.
Personalmente ritengo che il testo riproponga un quadro molto forte e
duramente realistico sia della paralisi dell’Italia, sia
dell’incapacità e della non volontà del centrosinistra di farsi – come
dovrebbe invece essere una vera sinistra – elemento di rottura e di
movimento. Dentro questa analisi amara e condivisibile Boccia inserisce
spunti di particolare asprezza (perfino con qualche rozzezza
terminologica) nei confronti del gruppo dirigente democratico.
Può darsi che ci sia in questa parte un intento competitivo verso la
rottamazione Doc; e forse c’è davvero qualche eccesso verso il
«vecchiume», considerando che né Boccia né Letta (al quale però il
documento non va ascritto) si sono particolarmente distinti in passato
per battaglie di discontinuità all’interno della nomenklatura
democratica della quale fanno parte. Su questo però l’errore è casomai
un altro, e cioè non considerare che il corpo del Pd è abbastanza
sfiancato dalle polemiche interne al gruppo dirigente e aspetta un
congresso di resa dei conti pienamente politica e per quanto possibile
proiettata sul futuro: immagino che sia questo il motivo per cui la
cannonata di Boccia abbia lasciato perplessi innanzi tutto molti suoi
colleghi di area.
C’è però da dire che la sola presentazione del documento sia utile a
illuminare un tema di enorme portata, che viene solo alluso nel
dibattito pubblico mentre è ben presente al corpo intermedio del partito
sia pure con molte semplificazioni.
Perché insomma, a quanto pare la dialettica politica decisiva davvero
viaggia nel Pd fra Enrico Letta e Matteo Renzi, con gli altri a fare da
contorno. E si potrebbe dire che la polarità Letta-Renzi condizioni in
realtà tutta la politica italiana. C’è l’enorme questione Berlusconi,
naturalmente; la forza di Grillo è solo parzialmente rifluita; e il vero
dominus sulla scena rimane sempre Giorgio Napolitano. Ma chi
pare in questo momento destinato a contendersi il futuro dell’Italia (o
magari a spartirselo) sono due ex popolari di 46 e 38 anni di nettissima
impostazione liberal, politicamente e culturalmente molto affini
compresi i gusti pop, la narrativa generazionale e la concezione a rete
dell’organizzazione politica.
Se le cose dovessero proseguire così, con altri candidati alla
segreteria dem a dividersi pezzi sparsi di “sinistre” democratiche,
vorrebbe dire che nel Pd siamo alla vigilia di una rivoluzione
copernicana, cioè di un ridimensionamento a ruolo gregario delle
componenti “socialiste” (duramente apostrofate nel documento Boccia):
eventualità della quale fin qui si sono mostrati in vari momenti
consapevoli, nel ruolo di vittime, soltanto Orfini e Fassina.
Davvero sarà questo il segno del congresso Pd? Letta e Renzi si
batteranno o piuttosto cederanno alla tentazione – così tipica dei loro
antenati popolari – di trovare un’intesa di fronte all’incredibile
opportunità di stabilizzare il partito sulle comuni posizioni liberal
(ma potremmo anche definirle prodiane), le stesse che Veltroni ha solo
sognato senza mai imporre? E – domanda cruciale –davvero la diaspora
diessina rinuncerà a battersi in modo vincente per riconquistare la golden share arcignamente rivendicata e preservata fin qui?
Nessun commento:
Posta un commento