La leadership richiede uno sforzo di costruzione attento e
faticoso. Il sindaco di Firenze dovrebbe comprendere che non può essere
lo spin doctor di se stesso
Un gruppetto di deputati renziani giovedì hanno scritto una
letterina all’ambasciatore statunitense denunciando che il nuovo
Monopoli inneggerebbe alla “finanza irresponsabile”. Meno divertente è
stata la lettera, pubblicata il 9 agosto, che un gruppo di ventisei
deputati ha inviato all’Avvenire, e dunque ai vescovi, per
spiegare il buon lavoro fatto dai cattolici a proposito della legge
contro l’omofobia. Tra i firmatari di questo documento c’è Matteo
Richetti, vicinissimo (pare uno dei suoi uomini di fiducia) al sindaco
di Firenze, che ha invece sempre rivendicato, da cattolico, la sua
laicità.
Si tratta di episodi forse marginali (ma altri potrebbero essere citati), che però mostrano un’oscillazione tra naiveté politicamente corretta e atteggiamenti clericali che mortificano l’autonomia della politica.
Tutte cose che ci si aspetterebbe fossero state “rottamate” almeno
all’interno dell’entourage di Matteo Renzi e che ci costringono ad
interrogarci sul modo in cui lo sfidante dell’apparato Pd sceglie il
proprio personale politico.
Ma questa è solo una delle domande che chi ancora spera che la sua
vittoria, nel Pd e nel paese, possa fare la differenza, o almeno aprire
ad una speranza, è costretto a porsi.
Anche a fronte non solo degli sbandamenti del suo entourage, ma dei
suoi stessi sbandamenti, di certe sue affermazioni un po’ infantili,
come quella recente circa l’ipotesi di ricandidarsi a sindaco di Firenze
(tanto per suscitare il sospetto che non abbia una precisa strategia)
o, peggio, di quel suo continuo ripetere che la sua candidatura alla
segreteria del Partito democratico è subordinata alle regole che saranno
adottate, come se con la definizione di quelle regole lui non dovesse
avere nulla a che fare.
Certo, tutto questo non significa non riconoscere il ruolo giocato fino ad ora da Renzi e il suo coraggio nello sfidare un apparatčik che preferisce morire post-comunista piuttosto che vivere e vincere riformista. Ma come ha scritto Giovanni Cocconi,
non basta essere «un magistrale solista, un leader dal fiuto
formidabile, in grado come pochi di mettersi in ascolto e in sintonia
con il paese».
Renzi dovrebbe comprendere una volta per tutte che la leadership
richiede uno sforzo di costruzione attento, lungo e faticoso. A partire
da se stessi. Nessun leader può essere lo spin doctor di se stesso.
Berlusconi rappresenta l’eccezione, ma Renzi non è Berlusconi – nel bene
e nel male – e soprattutto il solipsismo berlusconiano ha condotto al
disastro al quale oggi assistiamo nel centrodestra. Il leader è anche il
frutto dell’incontro con persone con capacità fuori dal comune che
sanno potenziare e incanalare qualità e capacità. Se Obama, Blair e
Sarkozy hanno avuto bisogno di Axelrod, Campbell e Guaino, chi è Renzi
che pensa di poter “disegnarsi” tutto da solo?
Poi c’è la squadra. Renzi ha dei collaboratori (alcuni molto bravi),
con i quali intrattiene rapporti individuali, non ha una squadra. Ma per
tracciare la strategia (e in questo momento non sbagliare i passaggi
sarebbe fondamentale), costruire un progetto ed essere presenti nei
luoghi decisionali con donne e uomini all’altezza, la squadra è una
condizione necessaria, nessuno può permettersi il lusso di farne a meno,
nemmeno il talentuoso Renzi. Una squadra fatta di persone anche più
capaci, nel proprio settore, del leader (l’ho già scritto altrove, mi si
perdonerà se mi ripeto, ma pare che più che giovare, la ripetizione sia
necessaria), con il coraggio di contrapporsi a lui – anche duramente –
se pensano che stia sbagliando. Ed è da quella squadra che devono poi
emergere le figure chiave per l’eventuale futuro governo.
L’intelligenza del leader sta anche nella capacità di costruire il
gruppo con il quale affrontare le sfide e nella consapevolezza che se il
leader è uno, la leadership è un’impresa alla quale molti collaborano e
quei molti devono essere scelti con i criteri giusti.
Ha voluto la bicicletta, ci ha fatto sperare che almeno su di una bicicletta avremmo potuto contare per vedere avanzare l’Italia, ora, per favore, senza sbandamenti, Matteo Renzi pedali.
Ha voluto la bicicletta, ci ha fatto sperare che almeno su di una bicicletta avremmo potuto contare per vedere avanzare l’Italia, ora, per favore, senza sbandamenti, Matteo Renzi pedali.
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