Il premier irritato dal documento del suo (ex?) fedelissimo,
isolato da tutti i parlamentari della componente: «Mette in difficoltà
il governo e ci allontana da Bersani ed Epifani, rischiando di farci
perdere il congresso»
Francesco Russo, Paola De Micheli, Marco Meloni, Guglielmo
Vaccaro, Angelica Saggese. Fino a una velina fatta filtrare direttamente
da palazzo Chigi. La giornata di ieri ha visto un fuoco di fila animato
dalla componente del Pd più vicina a Enrico Letta con un unico intento:
prendere le distanze dal documento scritto e fatto circolare da Francesco Boccia.
«Non entro nelle vicende interne alle forze politiche che sostengono il
governo – sono le parole attribuite direttamente al premier, che ieri
era molto irritato dal clima che si era venuto a creare – e questo a
maggior ragione vale per il mio partito e per il suo congresso». Ancora
più chiari sono Saggese e Vaccaro: «Boccia, con il quale abbiamo fatto
finora un percorso comune, ha scelto di andare autonomamente avanti».
«Non è un caso che quel documento non sia stato firmato da nessuno di noi – spiega a Europa
un lettiano doc – molti contenuti possono essere condivisibili, ma così
Francesco espone inutilmente il presidente del consiglio alle
fibrillazioni interne al Pd, quando invece dobbiamo cercare di tenerlo
più al di fuori possibile dalle dinamiche congressuali».
Anche perché l’effetto immediato di quel documento è stato l’opposto
di quello auspicato dal promotore: Pippo Civati, Gianni Cuperlo, Gianni
Pittella, molti renziani, perfino il viceministro Stefano Fassina ne
hanno preso le distanze, chi perché non vuole vincolare il Pd alle
larghe intese anche dopo la fine della stagione congressuale, chi perché
non ne condivide i toni troppo vicini a quelli utilizzati dal sindaco
di Firenze. I giudizi molto duri rivolti da Boccia alla classe dirigente
dem e alla linea “progressista” seguita da Bersani (anche se nel testo
non è mai citato esplicitamente) si offrono troppo facilmente alle
critiche di chi ricorda che proprio Letta è stato per tutti questi anni
il vicesegretario del Pd.
Ma più che al passato, le preoccupazioni dei lettiani e dello stesso
premier sono rivolte al futuro. Cioè a quel congresso dal quale Letta si
tiene ufficialmente a distanza, ma del quale inevitabilmente è già uno
dei protagonisti dietro le quinte. Anche ammesso che tutti i candidati
possano sottoscrivere formalmente un generico sostegno all’esecutivo –
questa rimane ancora la speranza degli uomini a lui più vicini – il
presidente del consiglio sa bene che la scelta del prossimo segretario
dem non sarà indifferente per il suo futuro a palazzo Chigi. E per
questo è impegnato, insieme a Pier Luigi Bersani e Dario Franceschini,
nel tentativo di rinsaldare la vecchia maggioranza interna e, magari,
convincere Guglielmo Epifani a ripensarci e scendere in campo
personalmente per guidare questo schieramento alla guida del partito.
L’ostacolo principale di questo percorso si chiama Matteo Renzi. Ed è
questo il motivo principale per cui Letta è intervenuto a fermare il
suo (ex?) braccio destro. «Boccia descrive una rottura troppo netta tra
la sinistra “conservatrice” e una più “moderna” – spiega un fedelissimo
del premier – noi invece dobbiamo cercare le ragioni dell’unità di una
parte più ampia possibile del Pd. Altrimenti i nostri iscritti ed
elettori, tra l’originale e la copia sceglieranno sempre l’originale,
cioè Renzi». A quel punto, il congresso non vedrebbe tanto la vittoria
del rottamatore quanto la sconfitta stessa di Letta, con conseguenze sul
governo che si possono immaginare.
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