sabato 10 agosto 2013

Una direzione in silenzio con un finale kafkiano

Franco Monaco
Europa  
 
Di più: ci tocca di leggere sui giornali indiscrezioni del tipo (scusate se è poco) che l’attuale gruppo dirigente del partito, pur di fare saltare il congresso, sarebbe pronto a fare cadere Letta per accelerare verso nuove elezioni e là, in direzione, di quel non vero o di quel non detto nessuno fa parola. Troppo tatticismo, troppa ipocrisia. Non c’è bisogno neppure di invocare il partito come comunità  politica imperniata su rapporti fiduciari, basterebbe molto meno, cioè il partito come associazione a base democratica, per pretendere altri comportamenti. Cosa avrei detto se avessi potuto intervenire in direzione?
Io fui tra i sette che, in direzione, votarono contro il dispositivo che apriva a un governo politico delle larghe intese all’insegna della formula “affidiamoci a Napolitano”. Non ho cambiato idea.
Pensavo e penso che si potesse e si dovesse esercitare per intero la nostra responsabilità di principale forza parlamentare dentro una democrazia – fino a nuovo avviso – ancora parlamentare perché si desse vita a un governo istituzionale, meno politicamente coinvolgente e impegnativo. Pensavo e penso che il Pd stia pagando un prezzo troppo alto a questo connubio forzato. Compreso un approccio insieme leggero e presuntuoso alle riforme costituzionali. Forzato nel metodo e inopinatamente esteso nell’oggetto (il mito fallace della grande riforma), anziché orientato a revisioni costituzionali puntuali e mirate.
Tra i costi ci metto l’ambiguo concetto della pacificazione (oblio e rimozione) cavalcato da destra, ma anche la nostra troppo facile retorica a proposito della separazione tra piano giudiziario e piano politico, quasi che non fosse nostro preciso dovere contrastare le azioni politiche del Pdl che scassano lo stato costituzionale e di diritto per aggiustare i processi e ora perfino le sentenze definitive. Bene perciò il fermo avvertimento di Epifani sul carattere per noi non negoziabile del principio di legalità.
Gian Enrico Rusconi ha proposto un argomento controcorrente ma non peregrino: dalla comunità  internazionale ci si chiede, prima e più che la stabilità, il ripristino di una democrazia costituzionale e di stampo europeo. Diciamo la dignità.
Del resto, quando il governo si insediò, un po’ tutti ne rimarcammo i limiti genetici, limiti di programma ma anche temporali. Quelli propri di uno stato di necessità. Non vorrei che in corso d’opera ce ne scordassimo.
Ciò detto – ecco il punto – ora il governo c’è e va sostenuto. Mi sento autorizzato a dirlo io, che ero contrario, a fronte di tanti, troppi scambi delle parti: ultragovernativi ieri che si improvvisano supercritici oggi, o antiberlusconiani ultrà oggi che sino a ieri ci ammonivano contro l’antiberlusconismo ideologico (?). Il governo va sostenuto naturalmente qualificandone l’azione con le nostre priorità e respingendo i diktat. Esemplifico: no alla riforma della giustizia ritorsiva; si metta subito in agenda la legge elettorale e si avvii subito il congresso, facendola finita con goffe esitazioni e ostruzionismi, per dare una linea e una guida sicura al Pd.
A differenza di altri, penso che si dia un nesso preciso tra giudizio sul governo e confronto congressuale. Dissento dalla rigida separazione propostaci da Letta tra politica (di cui dovrebbe occuparsi il partito) e politiche al plurale (appannaggio del governo). Come si può pensare che le azioni politiche e di governo possano essere tutt’altra cosa dalla visione del sistema politico e dei suoi attori? Esagero: tale artificiosa separazione potrebbe essere maliziosamente intesa come un appello a dedicarsi a chiacchiere politiciste nel mentre il governo, indisturbato, si occupa di cose serie e concrete per il bene del paese. Che idea vi sottende dell’alta vocazione dei partiti?
Abbiamo urgente bisogno di un Pd con una linea e una guida sicure, grazie a un congresso “vero”, cioè politico e competitivo, che scelga tra alternative chiare.
Di nuovo esemplifico: in un congresso rifondativo  dobbiamo scegliere tra un Pd lib, lab o semplicemente democratico come io auspico; dobbiamo ribadire l’opzione per il bipolarismo, non costruire un Pd sul presupposto che esso sia tramontato, come mi pare sostenga Franceschini. Più chiaramente: il governo non deve essere il laboratorio di un modello politico consociativo e di derive neocentriste, che possono svilupparsi anche preterintenzionalmente, traguardando al dopo Berlusconi; le regole statutarie che hanno una valenza identitaria, a cominciare da quella del rapporto tra leader pd e candidato premier, non vanno cambiate ora ma semmai rimesse al confronto congressuale e alle sue risultanze, come ha efficacemente argomentato Cuperlo; infine il convitato di pietra Renzi. Non amo l’ipocrisia: non lo si deve contrastare manipolando le regole o limitando la partecipazione, come palesemente si va facendo, ma opponendogli un candidato alternativo effettivamente competitivo. Anche Renzi però non deve dare l’idea di partecipare alle direzioni del Pd solo per portare a casa una data, ma deve là e non solo fuori intervenire e dire la sua. Di questo abbiamo bisogno: un chiarimento politico vero, una scelta tra proposte politiche alternative. Anche per porre fine a quell’eccesso di tatticismo di cui francamente non se ne può più.

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