Di più: ci tocca di leggere sui giornali indiscrezioni del tipo
(scusate se è poco) che l’attuale gruppo dirigente del partito, pur di
fare saltare il congresso, sarebbe pronto a fare cadere Letta per
accelerare verso nuove elezioni e là, in direzione, di quel non vero o
di quel non detto nessuno fa parola. Troppo tatticismo, troppa
ipocrisia. Non c’è bisogno neppure di invocare il partito come comunità
politica imperniata su rapporti fiduciari, basterebbe molto meno, cioè
il partito come associazione a base democratica, per pretendere altri
comportamenti. Cosa avrei detto se avessi potuto intervenire in
direzione?
Io fui tra i sette che, in direzione, votarono contro il dispositivo
che apriva a un governo politico delle larghe intese all’insegna della
formula “affidiamoci a Napolitano”. Non ho cambiato idea.
Pensavo e penso che si potesse e si dovesse esercitare per intero la
nostra responsabilità di principale forza parlamentare dentro una
democrazia – fino a nuovo avviso – ancora parlamentare perché si desse
vita a un governo istituzionale, meno politicamente coinvolgente e
impegnativo. Pensavo e penso che il Pd stia pagando un prezzo troppo
alto a questo connubio forzato. Compreso un approccio insieme leggero e
presuntuoso alle riforme costituzionali. Forzato nel metodo e
inopinatamente esteso nell’oggetto (il mito fallace della grande
riforma), anziché orientato a revisioni costituzionali puntuali e
mirate.
Tra i costi ci metto l’ambiguo concetto della pacificazione (oblio e
rimozione) cavalcato da destra, ma anche la nostra troppo facile
retorica a proposito della separazione tra piano giudiziario e piano
politico, quasi che non fosse nostro preciso dovere contrastare le
azioni politiche del Pdl che scassano lo stato costituzionale e di
diritto per aggiustare i processi e ora perfino le sentenze definitive.
Bene perciò il fermo avvertimento di Epifani sul carattere per noi non
negoziabile del principio di legalità.
Gian Enrico Rusconi ha proposto un argomento controcorrente ma non
peregrino: dalla comunità internazionale ci si chiede, prima e più che
la stabilità, il ripristino di una democrazia costituzionale e di stampo
europeo. Diciamo la dignità.
Del resto, quando il governo si insediò, un po’ tutti ne rimarcammo i
limiti genetici, limiti di programma ma anche temporali. Quelli propri
di uno stato di necessità. Non vorrei che in corso d’opera ce ne
scordassimo.
Ciò detto – ecco il punto – ora il governo c’è e va sostenuto. Mi
sento autorizzato a dirlo io, che ero contrario, a fronte di tanti,
troppi scambi delle parti: ultragovernativi ieri che si improvvisano
supercritici oggi, o antiberlusconiani ultrà oggi che sino a ieri ci
ammonivano contro l’antiberlusconismo ideologico (?). Il governo va
sostenuto naturalmente qualificandone l’azione con le nostre priorità e
respingendo i diktat. Esemplifico: no alla riforma della giustizia
ritorsiva; si metta subito in agenda la legge elettorale e si avvii
subito il congresso, facendola finita con goffe esitazioni e
ostruzionismi, per dare una linea e una guida sicura al Pd.
A differenza di altri, penso che si dia un nesso preciso tra giudizio
sul governo e confronto congressuale. Dissento dalla rigida separazione
propostaci da Letta tra politica (di cui dovrebbe occuparsi il partito)
e politiche al plurale (appannaggio del governo). Come si può pensare
che le azioni politiche e di governo possano essere tutt’altra cosa
dalla visione del sistema politico e dei suoi attori? Esagero: tale
artificiosa separazione potrebbe essere maliziosamente intesa come un
appello a dedicarsi a chiacchiere politiciste nel mentre il governo,
indisturbato, si occupa di cose serie e concrete per il bene del paese.
Che idea vi sottende dell’alta vocazione dei partiti?
Abbiamo urgente bisogno di un Pd con una linea e una guida sicure,
grazie a un congresso “vero”, cioè politico e competitivo, che scelga
tra alternative chiare.
Di nuovo esemplifico: in un congresso rifondativo dobbiamo scegliere
tra un Pd lib, lab o semplicemente democratico come io auspico;
dobbiamo ribadire l’opzione per il bipolarismo, non costruire un Pd sul
presupposto che esso sia tramontato, come mi pare sostenga Franceschini.
Più chiaramente: il governo non deve essere il laboratorio di un
modello politico consociativo e di derive neocentriste, che possono
svilupparsi anche preterintenzionalmente, traguardando al dopo
Berlusconi; le regole statutarie che hanno una valenza identitaria, a
cominciare da quella del rapporto tra leader pd e candidato premier, non
vanno cambiate ora ma semmai rimesse al confronto congressuale e alle
sue risultanze, come ha efficacemente argomentato Cuperlo; infine il
convitato di pietra Renzi. Non amo l’ipocrisia: non lo si deve
contrastare manipolando le regole o limitando la partecipazione, come
palesemente si va facendo, ma opponendogli un candidato alternativo
effettivamente competitivo. Anche Renzi però non deve dare l’idea di
partecipare alle direzioni del Pd solo per portare a casa una data, ma
deve là e non solo fuori intervenire e dire la sua. Di questo abbiamo
bisogno: un chiarimento politico vero, una scelta tra proposte politiche
alternative. Anche per porre fine a quell’eccesso di tatticismo di cui
francamente non se ne può più.
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