sabato 10 agosto 2013

Il romanzo stanco di Renzi


La sindrome yogurt, la mozione Quirinale e la dura coesistenza con Letta

Ok, e ora? Che cosa succede nel Pd dopo la comunicazione semiufficiale della data in cui verranno celebrate (o cominceranno a essere celebrate) le primarie per la segreteria (24 novembre)? Che ostacoli attendono Matteo Renzi? Ed Enrico Letta? E il governo? Gran parte del destino delle larghe intese, naturalmente, è legato alle decisioni che nei prossimi giorni prenderà Silvio Berlusconi, e solo nelle prime settimane di settembre sarà chiaro se il Pdl, una volta risolta la questione Imu, riuscirà davvero a rimanere fedele al governo nonostante la condanna, con relativa pena da scontare, del Cavaliere. Ma detto questo è del tutto evidente che per capire quale sarà il destino dell’esecutivo non si può prescindere da studiare due cose precise: cosa si muove in quella zona grigia che separa Matteo Renzi ed Enrico Letta e quali sono i veri punti di forza e i veri punti di debolezza del presidente del Consiglio e del sindaco di Firenze. Il primo punto da analizzare, ovviamente, riguarda la candidatura del Rottamatore al congresso del Partito democratico, e tutto quello che ne deriverà qualora Renzi dovesse diventare segretario. Il sindaco non ha ancora confermato ufficialmente la sua discesa in campo (lo farà a settembre, a ridosso dell’assemblea nazionale del Pd, convocata per il 21, ma la macchina delle primarie è in funzione, e ieri mattina Renzi, a Roma, ha già definito con Yoram Gutgeld, deputato e guru economico del sindaco, alcuni temi su cui impostare da settembre la campagna elettorale). Ma la sua ormai scontata partecipazione al congresso pone una questione legata a una domanda elementare: come possono coesistere Renzi e Letta? Dal punto di vista di Renzi il nodo è più intricato di quanto possa sembrare, e il sindaco di Firenze si trova di fronte a un problema che non è da poco. Da una parte Renzi sa che in nessun modo può fare il famoso passo più lungo della gamba e sa che sarebbe suicida, e da sfascista, guidare una rivolta contro le larghe intese finalizzata a far cadere il governo guidato da Enrico Letta. Dall’altra parte però Renzi sa che in nessun modo può rimanere lì fermo a guardare la grande coalizione senza far emergere un profilo alternativo al lettismo, sa che non può fare a meno di incalzare il caro amico Enrico, sa che non può fare a meno di ricordare che la sua traiettoria è alternativa a quella di Letta ma sa anche che l’eccessiva durata del governo potrebbe esporre la sua leadership al classico effetto yogurt: una leadership che più passa il tempo e più rischia di scadere. A tutto questo, poi – lo annotava ieri Pierluigi Battista sul Corriere della Sera – va aggiunto un altro elemento importante che riguarda, per così dire, una delle migliori armi del renzismo: un’arma che rischia di diventare spuntata se lo scioglimento delle Camere dovesse essere rinviato troppo in là nel tempo. Parliamo di questo: della riconosciuta capacità di Renzi di attirare elettori anche di altri schieramenti, e non solo di sinistra. Più andrà avanti questo governo, infatti, e più Renzi sarà inevitabilmente destinato a perdere il suo profilo bipartisan, di spostare verso sinistra il suo percorso e di correre il rischio di trasformarsi sempre meno in un Tony Blair 2.0 e sempre più in un Romano Prodi 2.0 (e in effetti dovrebbe quantomeno insospettire il fatto che persino Nichi Vendola improvvisamente sia diventato un grande sostenitore del sindaco di Firenze). Renzi tutto questo lo sa, è consapevole dell’esistenza della sindrome yogurt, conosce gli ostacoli presenti sul suo percorso; e come il sindaco questi ostacoli li conoscono bene anche i componenti dell’inner circle lettiano: i quali, non a caso, sospettano che Renzi, quando sarà, farà di tutto per cogliere l’attimo, per non farsi logorare e per soffiare così sul fuoco della possibile crisi di governo.

Ad allarmare Letta, poi, vi è anche un altro elemento che negli ultimi giorni è emerso con chiarezza dal tramestio democratico. Il presidente del Consiglio è convinto che le parole rilasciate qualche giorno fa da Guglielmo Epifani al Corriere della Sera, che tanto hanno agitato il Popolo della libertà, rientrino in una comprensibile partita a scacchi che il segretario del Pd deve giocare per tenere compatto il partito. Ma d’altra parte tra i lettiani c’è chi sospetta che negli ultimi tempi si sia indebolito il patto di sindacato del Pd che sostiene il governo: quell’alleanza di partito formata da Bersani, Letta e Franceschini che fino a oggi ha dato un contributo importante alla stabilità del governo. In che senso indebolito? “Nel senso – spiega al Foglio un esponente del Pd molto vicino all’ex segretario che chiede di rimanere anonimo – che è innegabile che anche nel nostro partito il novero di gruppi che vorrebbero andare a votare presto si è ingrandito, e tra questi gruppi ci metterei anche una buona parte del corpaccione rosso del Pd, compresi diversi bersaniani. D’altronde, andare a votare subito, evidentemente, significherebbe slittare il congresso, fare le primarie per la premiership e rinviare a data da destinarsi la corsa per prendersi il partito…”.  Lo scontro tra Letta e Renzi, dunque, al netto poi di quello che farà Silvio Berlusconi, è destinato inevitabilmente a trasformarsi in una battaglia all’ultimo sangue tra i sostenitori del presidente del Consiglio e i sostenitori del partito del “voto subito”? Il rischio naturalmente esiste, eccome se esiste, ma negli ultimi giorni, all’interno del cerchio magico lettiano, si è andata a consolidare e ad affermare una sorta di possibile terza via per tentare di far coesistere le traiettorie di Renzi e Letta all’interno di uno stesso percorso. Di che si tratta? Si tratta di questo. A metà settembre, a quanto risulta, alcuni parlamentari lettiani presenteranno, in vista del congresso, una mozione finalizzata non a sponsorizzare un candidato alla segreteria del partito ma a coinvolgere il maggior numero possibile di candidati in un impegno di sostegno al governo. Tradotto dal politichese, e qui arriviamo alla ciccia, l’idea, condivisa anche da ambienti del Quirinale, sarebbe quella di insistere con Renzi su un ragionamento di questo tipo: caro Matteo, candidati pure alla segreteria, noi non ti ostacoleremo, ma in cambio ti chiediamo di dare una mano a questo governo e di farlo arrivare fino al prossimo semestre europeo; se lo fai noi ti diamo la garanzia che dall’inizio del 2015 il palcoscenico sarà tutto per te: noi non ci metteremo in mezzo, e se si torna a votare, come pensiamo, in campo, per noi, ci sarai solo tu. Qualche giorno fa, l’offerta è stata consegnata e presentata al sindaco di Firenze da un ambasciatore lettiano – il quale ha suggerito a Renzi di non limitarsi a fare solo il segretario ma di candidarsi anche alle Europee come capolista in tutta Italia, come fece nel 2009 Silvio Berlusconi. E al rottamatore, assieme a questa riflessione, è stato ricordato un dettaglio che spesso viene ignorato quando si ragiona sulla prospettiva del voto anticipato. Un dettaglio che, in buona sostanza, coincide con un fatto preciso: la totale indisponibilità di Giorgio Napolitano a sciogliere le Camere prima della conclusione del prossimo semestre europeo e il conseguente rischio, per chiunque voglia sfidare il Colle su questo punto, di ritrovarsi come nemico il presidente della Repubblica.

“Diciamo pure – spiega al Foglio un importante dirigente del Pd con ottime entrature quirinalizie – che Napolitano sulla questione dello scioglimento delle Camere non farà sconti a nessuno, né al Pd né al Pdl. Renzi questo deve metterselo in testa, deve capire che il capo dello stato non scherza quando dice di essere pronto persino a mettere sul tavolo le proprie dimissioni pur di scongiurare il ritorno alle urne dopo così poco tempo dalle ultime elezioni, e se davvero Matteo vuole candidarsi a guidare il paese la prima cosa che dovrebbe fare oggi, oltre che trovare un accordo con Letta, è quella di prendere un appuntamento con Re Giorgio e di mettere le cose in chiaro con lui. Anche perché, a occhio, chi ha ambizioni di governo dovrebbe sapere che avere contro il capo dello stato potrebbe diventare, come dire, un ostacolo un pochino grosso per sperare di guidare il paese”. Alla fine dei conti, dunque, gran parte del destino di questo governo, come è facilmente intuibile, è ben saldo nelle mani di Berlusconi. Ma se alla fine, come è possibile, il Pdl, o ciò che sarà del Pdl, deciderà di non tradire il governo e di continuare a dare a Letta la fiducia che in questi giorni il Cavaliere ha promesso di voler dare al governo il punto sarà questo: che gran parte del destino delle larghe intese si giocherà all’interno di un triangolo formato da Letta, Renzi e Napolitano (il quale, tra l’altro, ieri, per fare il punto della situazione, ha invitato a pranzo presso la sua tenuta di Castelporziano il segretario Gugliemo Epifani, i capigruppo Luigi Zanda e Roberto Speranza, il presidente della commissione affari costituzionali Anna Finocchiaro). La proposta per una pacificazione preventiva fra i tre, dunque, è sul tavolo. Capiremo nelle prossime settimane se Matteo Renzi alla fine farà sua l’idea della mozione Letta-Napolitano, e accetterà di rallentare la sua corsa per non trasformarsi in rottamatore del governo. Chissà.

Guido Cerasa

 IL FOGLIO QUOTIDIANO 10/08/2013

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