Bisogna puntare sulla trasparenza dei contributi versati: solo così
si potranno distinguere i diritti acquisiti dai regali concessi dalla
politica nei decenni scorsi
Quest’estate sono stati resi pubblici gli importi delle
cosiddette pensioni d’oro, le dieci pensioni più generose erogate oggi
dall’Inps. Sin qui avevamo solo una distribuzione dei pensionati per
importo della pensione. Sapevamo, ad esempio, che ci sono 513.876
persone che ricevono un assegno superiore ai 3mila euro mensili. Ma non
sapevamo che ci siano persone che ricevono trattamenti superiori ai
90mila euro al mese, più di 200 volte l’importo di una pensione sociale.
L’informazione che continua a mancare è quanto i beneficiari di
pensioni di alto importo hanno versato nel corso della loro intera
carriera lavorativa. In altre parole, bisogna rendere noti non solo i
livelli delle pensioni d’oro, ma anche i rendimenti impliciti che sono
stati concessi dal sistema previdenziale pubblico ai contributi versati
da chi sarebbe poi diventato un pensionato d’oro e dai loro datori di
lavoro.
Servirà questa informazione innanzitutto per evitare ulteriori
censure della Consulta in nome della violazione di “diritti acquisiti”.
Se non si rendono pubbliche queste informazioni sarà sempre possibile
sostenere che, dopotutto, i beneficiari di queste prestazioni milionarie
se le sono pagate coi loro contributi in anni di lavoro.
Ogni pensione calcolata in Italia con un metodo diverso da quello
contributivo, quello che dalla fine del 2011 viene praticato a tutti i
contributi previdenziali versati dai lavoratori italiani, attribuisce
prestazioni superiori ai contributi versati in termini attuariali, con
un regalo che è tanto più forte quanto più alte sono le retribuzioni
finali dei lavoratori. Il sospetto è poi che non pochi dei pensionati
d’oro abbiano potuto fruire di regimi speciali e ulteriori regali fatti
per ragioni di consenso elettorale soprattutto negli anni Settanta e
Ottanta, scaricandone i costi sui contribuenti futuri. Per esempio, sono
noti i casi di forze armate in cui un rapido (e inefficiente) turnover
ai vertici era probabilmente motivato dall’unico obiettivo di far
maturate pensioni d’oro all’ombra del vecchio sistema retributivo. Più
che di “diritti acquisiti” bisognerebbe perciò parlare di “regali
acquisiti”, di piacevoli sorprese ottenute poco prima di andare in
pensione. Questi stessi regali insostenibili hanno poi obbligato governi
successivi a mutare più volte le regole previdenziali, allontanando la
data di pensionamento o riducendo il livello delle pensioni future a chi
magari era molto vicino all’andata in pensione. Perché questi “diritti
acquisiti” non sono stati tutelati, mentre oggi si vorrebbero tutelare i
“regali acquisiti” dei pensionati d’oro? E perché viene ritenuto in
linea coi principi costituzionali chiedere di più a “chi ha di più” come
fa il nostro sistema tributario, ma non si può chiedere di più a “chi
ha avuto di più”, in base a regole intrinsecamente insostenibili e tali
dunque da imporre oneri o togliere diritti ad altri?
Questi dati servirebbero a meglio calibrare gli interventi
perequativi. Ad esempio, si dovrebbe intervenire sulle quiescenze di chi
soddisfa due criteri: il primo è quello di ricevere un ammontare totale
di pensioni (ci sono molte persone che percepiscono più di una
pensione) al di sopra di una certa soglia; il secondo è quello di
ottenere questo reddito prevalentemente da una pensione il cui
rendimento implicito è molto elevato. Il primo criterio (quello che
guarda all’ammontare complessivo delle pensioni) serve a tutelare il
principio di equità redistributiva, sostenendo nella vecchiaia chi non
ha accumulato abbastanza contributi. Il secondo criterio (quello che
guarda alle pensioni in rapporto ai contributi versati) tutela l’equità
intergenerazionale, chiedendo qualche sacrificio in più a chi ha avuto
troppo dalle vecchie regole del sistema pensionistico. I risparmi così
ottenuti potrebbero essere utilizzati per dotare il nostro paese di
quegli strumenti di contrasto alla povertà assoluta che, unici in Europa
assieme alla Grecia, tuttora non abbiamo, magari partendo da quelle
fasce di età che sono state particolarmente colpite dalla crisi, come le
generazioni coinvolte nella vicenda degli esodati o quelle travolte
dall’esplosione della disoccupazione giovanile. E come potrebbe la Corte
costituzionale opporsi a un provvedimento che riduca queste pensioni
d’oro per aiutare i lavoratori esodati? A quali “diritti acquisiti”
potrebbe fare riferimento al cospetto di persone che hanno visto
allontanarsi la pensione e accorciarsi il periodo di fruizione dei
trattamenti di mobilità e che si vedrebbero negare un aiuto dalle
decisioni della Consulta?
Pubblicare i rendimenti impliciti di ogni prestazione oggi erogata
dal sistema pubblico rispetto ai contributi versati sarebbe una vera
operazione di trasparenza sulle iniquità del nostro sistema
previdenziale. Gli italiani hanno diritto, questo sì, di sapere quanto
diversi sono stati sin qui i trattamenti pensionistici in rapporto a
quanto versato dai lavoratori. Pubblicare questi dati (ad esempio sapere
quante persone si sono viste riconoscere un rendimento del 50 per cento
superiore a quello del contributivo) e spiegare come vengono calcolati
servirebbe anche a rafforzare conoscenze finanziarie di base per chi
deve costruirsi il proprio futuro previdenziale.
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