giovedì 10 novembre 2016

Se l’impossibile diventa realtà


Alfredo Bazoli
E così eccoci qui, ancora una volta, a valutare l’esito di una consultazione elettorale sorprendente, che ribalta ogni pronostico e mostra che l’impossibile diventa realtà.
Era già accaduto con la Brexit, ora di nuovo con la vittoria di Trump alle presidenziali americane.
Un uomo per molti versi impresentabile, politicamente scorretto, che ha attaccato duramente, ai limiti dell’insulto, minoranze, paesi stranieri, avversari politici, volgare e sessista, senza alcuna esperienza di governo e di politica, profondamente odiato dai democratici e avversato anche dal partito repubblicano, insomma un uomo del tutto inadatto e che in un’altra epoca non avrebbe passato le prime selezioni, un uomo così, a dispetto di tutti i pronostici e le aspettative, di tutti i nemici e gli avversari, ha sbaragliato la concorrenza, ha annichilito ogni aspettativa, ed è diventato presidente degli Stati Uniti.
Come è potuto succedere? E che significa?
C’è, nelle spiegazioni che sento e leggo diffusamente, qualcosa che non torna.
Si dice che è la crisi economica, che è la classe bianca che ha sperimentato quella crisi a reagire rabbiosamente.
Eppure negli ultimi otto anni di presidenza Obama, l’America ha vissuto una crescita economia poderosa, la disoccupazione è calata dai livelli drammatici del 2008 a limiti fisiologici, la borsa ha continuato a correre.
Insomma, gli USA la crisi economica se la sono lasciati alle spalle da un bel po’, al contrario di quello che sta capitando a gran parte dell’Europa.
Dunque c’è qualcosa di più che non la spiegazione economica, a motivare questa rabbia, questa voglia di rovesciare il tavolo che si è espressa in modo così sorprendente in queste elezioni, seguendo un’onda partita dalla brexit, e che dunque riguarda tutte le democrazie occidentali.
Io me la spiego così.
È l’onda di una paura, di una angoscia che sta mettendo le radici dentro le società occidentali, figlia di un disordine mondiale che sentiamo minaccioso, che ci spaventa attraverso il terrorismo che si fa stato, feroce e nichilista, che ci destabilizza e preoccupa con le ondate migratorie pressanti e apparentemente ingestibili, che ci rende insicuri con le incertezze di una economia instabile, che non da sicurezze e prospettive.
Questa paura sta dilagando nel ceto medio, o in quel che ne resta, sta corrodendo piano piano ma inesorabilmente la fiducia nel futuro, nella provvidenza della storia.
Da alcuni anni la sensazione diffusa è che il futuro dei nostri figli sarà peggiore del nostro.
E allora la risposta sta nel desiderio di rompere questa deriva minacciosa, di lacerare questo meccanismo, di rovesciare questo piano inclinato affidandosi a chi meglio di altri può portare alla rottura totale del sistema.
Con tutte le incognite, i rischi e le ulteriori incertezze che ciò comporta.
Ma se così stanno le cose, è chiaro che alla politica che cerca le soluzioni, che non si limita a urlare, che si sforza di unire, spetta di raccogliere questo sfogo, questa rabbia, di farsene carico, di trasformarla in progetto per il futuro.
Il campanello d’allarme per le democrazie occidentali è ora.
Se non saremo capaci di una svolta seria e credibile, a partire dall’Europa, finiremo per essere travolti tutti, e rischieremo di trovarci, alla fine, e a dispetto delle illusioni date da risposte semplici, più poveri e insicuri di prima.

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