mercoledì 9 novembre 2016

La vittoria dell’inquietudine e della rabbia


Stefano Cagelli
L'Unità 9 novembre 2016
Trump è stato in grado, solo contro tutti e contraddicendo la sua biografia, di interpretare i sentimenti dell’America profonda. Ora si apre un’epoca nuova per il mondo, piena di incognite
Ciò che in pochi, pochissimi, si erano immaginati, è diventato una cruda realtà: Donald Trump, l’impresentabile, l’irriverente, il maleducato, il razzista, il sessista è il 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Ha vinto la battaglia della vita contro Hillary Clinton, data per favorita da tutti i sondaggi, sostenuta in maniera unanime dalla stampa nazionale, appoggiata dalla quasi totalità delle cancellerie occidentali e dal presidente uscente Barack Obama, all’apice della sua popolarità, che si è speso per lei in gran parte degli stati chiave per la vittoria finale.
La vittoria di Trump è il compimento della campagna elettorale peggiore della storia degli Stati Uniti. Una campagna in cui il magnate è stato in grado, solo contro tutti, di incarnare e interpretare il sentimento anti-establishment serpeggiante nella società americana. A dispetto del sostegno a dir poco tiepido da parte del partito repubblicano, è stato capace di intercettare e addirittura incrementare i voti nelle roccaforti storiche del Gop e di andare a “rubare” voti tradizionalmente democratici.
Solo venti giorni fa, addirittura il candidato vicepresidente Mike Pence aveva (quasi) voltato le spalle a Trump, dopo lo scandalo legato al video sessista di qualche anno prima. E’ stato il momento in cui sembrava che la partita per la presidenza fosse chiusa. E’ stata, evidentemente, una valutazione sbagliata, non solo da parte di tutti gli osservatori ma anche dai sondaggisti. Da quel momento in poi, infatti, è cominciata una rincorsa apparentemente disperata, il cui esito ci dice molto di quello che sta succedendo nella società americana, che poi non è tanto diverso da quanto accade in Europa.
Trump si è scusato ma contestualmente ha inasprito ancor di più, se possibile, il tono dello scontro, non solo contro Hillary Clinton e il suo passato ma contro il sistema in tutta la sua complessità. Contro i media, contro i politici che hanno impoverito l’America, contro gli immigrati che hanno invaso il Paese, contro i trattati internazionali. E questa escalation politica e verbale ha evidentemente pagato, nonostante la biografia di Trump rappresenti tutto fuorché il profilo di un paladino dei diritti dei più deboli.
Ha detto le cose che la gente voleva sentirsi dire. Ci sarà modo di analizzare nel dettaglio i motivi e le dinamiche di questa incredibile vittoria, ma alla base di tutto c’è esattamente quello che si riassume con una parola e una sola: populismo. La gente chiede questo? Io gli do questo. Il popolo è arrabbiato per quest’altro motivo? Io punto il dito contro la causa di questa rabbia. Tutto questo si è tradotto in una notte elettorale da incubo che ha visto via via crescere le speranze di vittoria di Trump, fino a farle diventare prima probabilità e poi certezza.
Ora dovrà governare il Paese più importante del mondo, più spaccato che mai. Ora, per dirla alla Obama, “avrà in mano i codici nucleari”, il destino del mondo è anche e soprattutto sulle sue spalle. Da cittadini del mondo non possiamo che augurarci che lui stesso, chi gli sta vicino, il partito che lo appoggia (e che avrà la maggioranza al congresso) capiscano la portata e le conseguenze che avranno le loro determinazioni.
Dall’altra parte Hillary Clinton esce di scena nella maniera più brutta e più triste possibile. L’ultimo capitolo della sua vita politica sarà questo, non ce ne saranno altri. Il sogno di diventare presidente svanisce contro l’uomo che ha usato nei suoi confronti le parole più brutte mai pronunciate prima. Anche in questo caso ci sarà il tempo e lo spazio per analizzare i motivi della sconfitta, l’opportunità di una candidatura così legata a quel sistema che Trump ha individuato come l’obiettivo da colpire e che, evidentemente, l’America profonda ha voluto punire, le conseguenze delle indagini dell’Fbi sull’emailgate. Quel che è certo è che la sua base elettorale l’ha abbandonata nel momento più importante. I giovani, gli immigrati, i più deboli avrebbero dovuto portarla alla Casa Bianca. Così non è stato e su questo tutto il partito democratico dovrà interrogarsi a fondo.
Quella che si apre da domani è una fase nuova, inedita, piena di incognite, per l’America e per il mondo. Si è chiusa un’epoca e se ne apre un’altra che investirà tutto, dall’economia agli equilibri internazionali. Nel 2008, con la prima elezione di Barack Obama, parlammo di un evento storico. Ebbene, anche oggi dobbiamo parlare di un evento storico. Otto anni fa il sentimento-simbolo che coinvolse tutto il mondo era quello della speranza, oggi è quello dell’inquietudine. Solo il futuro ci dirà come andrà a finire.

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