venerdì 4 novembre 2016

Richetti: “Questa è la Leopolda che parla alla quotidianità delle persone”


Maria Zegarelli
L'Unità 4 novembre 2016
Sarà una Leopolda che aderirà molto alla quotidianità, al dramma che sta vivendo il centro Italia e con esso tutto il Paese.
Aprirà un Matteo stasera e chiuderà un altro Matteo, domenica a mezzogiorno. A tagliare il nastro di partenza della settima edizione della Leopolda a Firenze, sarà infatti Matteo Richetti, decisione presa dall’altro Matteo, il segretario presidente del Consiglio, come a voler ribadire quell’antico rapporto di amicizia politica e personale iniziato anni fa.
Richetti, la domanda è un tormentone in questi giorni quindi che dice di chiarire sul punto? Archiviata la distanza tra voi due?
«Come erano ridicole le ricostruzioni e i retroscena sull’abbandono altrettanto ridicole sono quelle sul ritorno».
Che Leopolda sarà questa, che si svolge durante l’emergenza terremoto e una campagna referendaria così divisiva?
«Sarà una Leopolda che aderirà molto alla quotidianità, al dramma che sta vivendo il centro Italia e con esso tutto il Paese perché questo terremoto ha colpito al cuore l’identità di intere comunità. L’obiettivo deve essere quello di unire il nostro modo di discutere dei problemi dell’Italia, di come affrontarli e di quali soluzioni individuiamo, ma anche di raccontare le storie di chi si è rialzato, non si è arreso e ha ricominciato daccapo. Daremo voce a chi nel passato è stato protagonista della ricostruzione non soltanto materiale ma anche culturale, di una comunità».
L’altro tema sarà la ristrutturazione dell’impianto istituzionale. Quale è l’input che parte dalla Leopolda per i militanti?
«Il referendum è un tassello fondamentale di un’idea di Paese che in queste sette edizioni abbiamo immaginato. A volte siamo stati accusati di improvvisazione, di procedere con provvedimenti scollegati tra di loro: non c’è niente di più sbagliato. Se uniamo uno ad uno i puntini segnati dalla prima Leopolda, dalle 100 idee del 2011 ad oggi, ci rendiamo conto che il quadro che viene fuori è coerente, dal Jobs Act alle riforme. Il referendum in questo contesto è un appuntamento importante perché questa riforma rende le istituzioni più semplici, elimina gli enti inutili, supera il bicameralismo: tutte cose di cui abbiamo iniziato a parlare qui a Firenze».
Ogni edizione nella vecchia stazione fiorentina ha le sue parole chiave. La sua quale sarà?
«Può sembrare paradossale ma la mia parola sarà “silenzio”. Questo Paese sta diventando l’Italia del rumore molesto, delle voci che si sovrappongono e il clima che si è creato non fa bene a nessuno. C’è un’Italia che vorrebbe come maggioranza chi si chiama fuori, chi non si assume responsabilità ma grida. Alle fine anche lo scontro sul referendum rischia di non far cogliere l’importanza del passo che abbiamo davanti con la riforma. Sul fronte del No si sono assestati tutti quelli che si ritengono i veri difensori dei valori, quando oggi i valori hanno bisogno di essere riconosciuti alla luce dei profondi mutamenti sociali in atto. “Per cambiare c’è bisogno di esserci”era il monito, oggi più che mai attuale, di Tina Anselmi».
Che succederà dopo il 4 dicembre?
«Se vince il Sì non vinceranno Renzi e il Pd, sarà il Paese a fare un salto in avanti. Quello che deve essere chiaro è che noi non siamo di fronte a una contesa politica ma di fronte ad un pronunciamento del popolo sulla Carta costituzionale. Trovo sbagliato che il No si stia compattando intorno all’obiettivo di mandare a casa il governo, così come trovo sbagliato se, in caso di vittoria del Sì, qualcuno pensi di potersi dichiarare maggioranza del Paese. Sta accadendo altro, non mi stancherò mai di ribadirlo: è il popolo che si pronuncia sulla Costituzione».
Ma già nel Pd è in atto questa contesa politica. Pier Luigi Bersani si è apertamente schierato per il No, come tutti i bersaniani.
«Il vero problema è che non esiste più la capacità di riconoscere una sintesi, una discussione che abbia dignità a prescindere dal luogo dove si è svolta. Questa è la riforma che il Pd ha discusso, condiviso, modificato, plasmato e poi votato in Parlamento. Oggi non possiamo vedere il partito impegnato in tutte le vie di fuga. E mi chiedo come ci si possa appellare alla libertà di coscienza di fronte ad un voto che non riguarda i principi fondamentali della Costituzione».

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