lunedì 7 novembre 2016

E’ semplice, per Bersani Renzi è un imbroglione. Fine della discussione


Fabrizio Rondolino
L'Unità 7 novembre 2016
Ripercorriamo tutta la storia fino all’accordo strappato da Cuperlo
“Arroganza e sudditanza”, insulta Pier Luigi Bersani: l’intervento di Matteo Renzi alla Leopolda non gli è molto piaciuto, ma non sa bene spiegarne il perché. Abituato ormai da un paio d’anni a cannoneggiare il segretario del suo partito e il governo espressione del suo partito, contestandone ogni scelta e ogni respiro e ogni provvedimento, Bersani ora s’atteggia a povera vittima, evoca come un Pigi Battista qualsiasi lo spettro dello stalinismo, rivendica il suo amore per la “Ditta” (difficile immaginare un’espressione più spettrale).
E allora, molto semplicemente e con molta pazienza, proviamo a ripercorrere la vicenda, e cerchiamo di capire non chi abbia ragione – non ce n’è bisogno – ma quanto alta sia ormai la percentuale di malafede in coloro che, dopo aver perso le elezioni, il Quirinale, palazzo Chigi e la segreteria del Pd, ora vorrebbero che Renzi li imitasse.
Che cosa è successo in queste ultime settimane? La minoranza guidata da Bersani, sebbene abbia votato sei volte la riforma costituzionale in Parlamento, ad un certo punto ha annunciato che avrebbe votato No al referendum se non fossero intervenute modifiche sensibili all’Italicum. Italicum che, com’è noto, non fa parte della riforma e non è oggetto del referendum; e che, com’è altrettanto noto, era già in vigore quando Bersani e Gotor votarono felicemente Sì alla riforma Boschi.
Anziché scoppiare a ridere di fronte al testacoda di Bersani, Renzi pazientemente ha convocato una riunione della Direzione del partito, si è detto disponibile a modificare profondamente la legge elettorale, ha promosso una commissione che mettesse le modifiche nero su bianco.
Bersani e Speranza si sono rifiutati di entrare nel gruppo di lavoro, Cuperlo invece ha accettato.
Sabato i lavori della commissione si sono conclusi con un accordo che accoglie tutte – TUTTE – le modifiche proposte dalla minoranza: premio “di governabilità” ridotto, niente ballottaggio, collegi uninominali, coalizioni anziché liste di partito, elezione diretta dei senatori.
Cuperlo, colpevole di credere al significato delle parole, si è detto soddisfatto. Bersani e i suoi amici sono invece insorti: “Dichiarazione di intenti estremamente fumosa e ambigua”, ha sentenziato l’acuto Gotor. E il brillante Speranza: “Se si vuole fare sul serio si fanno provvedimenti, non documenti”. “Quel foglietto – ha concluso sprezzante Bersani – per me vuol dire che Renzi vuole mantenere le mani libere. Su quel foglio c’è scritto ‘stai sereno’. Io non sto sereno e voto No.”
Finalmente una frase sincera: Bersani di Renzi non si fida. Lo considera un imbroglione.
Qualsiasi cosa dica, per lui non vale. I documenti sotttoscritti dal vicesegretario del partito, dai due capigruppo e dal presidente sono carta straccia perché è Renzi il segretario. Ogni impegno assunto non ha alcun significato, se ad assumerlo è Renzi o qualcuno che lo frequenta.
La prima frase sincera di Bersani in molti anni è preziosa e va dunque ricordata: il No al referendum al fianco di grillini e leghisti, l’attacco sistematico al governo del Paese, la critica violenta al partito non sono una scelta politica, ma il frutto di un’alterazione umorale, di uno slittamento psicologico, di un disagio da andropausa: Renzi è un imbroglione e la sua parola non vale nulla. Fine della discussione.

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