giovedì 27 febbraio 2014

Quell'abbraccio fra sconfitti

Tommaso Cerno
Espresso 26/2/2014
 
Quell’abbraccio fra sconfitti, quell’applauso disperato, quel parricidio in tono minore
Un premier, piaccia o no, della Terza repubblica. Un parlamento della Seconda. Un rituale costituzionale della Prima. Quarantotto ore di noia parlamentare per mandare al lavoro un governo nato su Twitter. Sarò cinico, ma a me l’abbraccio Letta-Bersani, al netto della vicinanza per la malattia, non ha affatto toccato. Anzi, sul piano politico era un abbraccio fra due sconfitti. E anche un po’ fra due illusi. Con intorno un parlamento che odora d’antico (grillini compresi, altrimenti il leader del M5s non avrebbe avuto alcun motivo di lanciarsi in quello streaming-show con Matteo Renzi), e che applaudiva per disperazione, proprio come fece di fronte a Giorgio Napolitano dopo la rielezione, mentre con tono di monarca lo redarguiva. Un parlamenticchio, ben peggio del governicchio che ha sostenuto, che applaudiva la propria inconsistenza, la propria paludosa vetustà.

In politica si dice che ogni nuovo leader nasca da un parricidio. Renzi, in tempi di crisi, non ha potuto rispettare fino in fondo la tradizione. Bersani, non vincendo le elezioni politiche, si era ucciso da solo. A Matteo non restava che il fratricidio, diciamo un accoltellamento in tono minore, che ha visto come vittima il fratellino Enrico. Disvelando nel gesto apparentemente atroce, una bugia ancora più atroce. La grande bugia su cui si reggeva il Pd. Le primarie erano solo formalmente convocate per eleggere il segretario, perché tutti quelli che hanno votato Renzi in qui gazebo volevano scegliere il premier e volevano lui a palazzo Chigi.

Lo sa bene Umberto Bossi, che è stato malato, e che ha visto finire il suo regno in poche ore, fra l’altro per un pugno di diamanti della Tanzania e un figlio su cui è meglio stendere un velo, senza mai essere abbracciato da nessuno. Bossi sì che è stato trattato come un paria dalla sua Lega che lo aveva divinizzato per due decenni, una Lega resa microscopica dai Maroni e dai Salvini. Ecco perché Umberto, quello del dito medio alzato, ormai claudicante, è stato il meno retorico di tutti, il più giovane di spirito. Ha ammesso, con le sue parole, che quell’aula è ormai consunta. E che l’arrivo del sindaco-rottamatore-parlatore-twittatore a palazzo Chigi, se anche prolunga – rispetto al voto – la permanenza degli onorevoli nel Palazzo, dall’altra parte ne mostra distintamente la vecchiezza.

Non vuol dire che Renzi è il meglio. Non vuol dire che vincerà. Vuol dire solo che Renzi rottamerà tutti lor signori, rottamerà quell’aria pesante, quel senso di indeterminatezza che da anni il Parlamento emana.

Poi magari perderà.



Nessun commento:

Posta un commento