martedì 11 febbraio 2014

Ora si decida. Ma in fretta.


Alfredo Bazoli 
 
La vicenda dell'ultimo decreto legge giunto in aula per la conversione, dal rilievo politico non indifferente e dal contenuto economico significativo, ci dice molto dello stato di salute di questo governo e di questa legislatura.
Il provvedimento e' arrivato in ritardo rispetto ai tempi preventivati, dopo un tira e molla durato qualche giorno, con l'accantonamento di discusse norme in tema di assicurazioni, imbarazzanti divisioni in commissione attività produttive tra esponenti del governo, e una lunga seduta della commissione bilancio per verificare le coperture.
Questa volta, però, l'allungamento dei tempi non è dipeso da un atteggiamento ostruzionistico dell'opposizione, ma da malumori e indecisioni tutte interne alla maggioranza, ed in particolare al partito democratico.
Questi malumori si sono indirizzati su alcune norme del decreto, e sono evidenti segnali, a mio modo di vedere, di un deciso sbandamento del gruppo parlamentare, di una crescente e percepibile incertezza di prospettive, a loro volta figli di una irrisolta ambiguità nel rapporto tra governo, gruppo parlamentare e partito democratico, che si trascina da quando il governo è nato, e che in queste ultime settimane e' andata crescendo.
Per dirla in termini un po' semplificati, il partito democratico, ed il suo gruppo parlamentare, hanno inizialmente subito la nascita del governo, lo hanno poi lungamente tollerato, e paiono oggi malsopportarlo.
Il governo e' nato sotto la spinta decisiva di Napolitano, che ha indotto (rectius, costretto) il partito, reduce dalle profonde ammaccature della gestione post elettorale, e indeciso sulla direzione da prendere, a farsi carico della situazione di emergenza del paese, assumendosi una responsabilità difficile e amara, che peraltro contraddiceva le iniziative e le dichiarazioni del gruppo dirigente del partito.
Il pd e' dunque entrato riluttante e obtorto collo nel governo della larghe intese, e per i primi mesi ha faticato a digerire, e a far digerire ai propri simpatizzanti, una scelta così impegnativa, e peraltro figlia di una obiettiva condizione di emergenza.
Passato lo choc iniziale, e a seguito delle dimissioni di Bersani, si è entrati in una fase di transizione, caratterizzata dalla sostanziale assenza di leadership interna al partito, che ha consentito al governo di galleggiare senza un effettivo e reale rapporto dialettico con il pd, impegnato com'era in una lunga e faticosa stagione congressuale, che ha alfine portato alla nuova leadership di Renzi.
La vittoria del nuovo segretario ha radicalmente mutato il contesto politico, ed insieme anche il rapporto tra partito e governo.
Non è servito molto per rendersi conto che la forza politica del nuovo segretario, scelto da milioni di cittadini con un voto che tutti gli osservatori hanno valutato un vero spartiacque nella storia del centrosinistra italiano e del partito democratico, avrebbe, come in effetti ha, ribaltato completamente i rapporti di forza tra un governo che già appariva in obiettiva difficoltà, e si è ulteriormente indebolito, e un partito guidato da una leadership di questa forza e carica innovativa.
Questa evidente divaricazione e' andata progressivamente dilatandosi in queste ultime settimane, soprattutto per la ragione che, nonostante le dichiarazioni dei leader, non si è trovata, e forse non si è neanche cercata, la strada per garantire la convivenza tra un partito così fortemente rinnovato e un governo in affanno.
Una strada che ovviamente passa per il chiarimento di intenzioni e di obiettivi del segretario del pd, e per una maggiore limpidezza di fronte all'opinione pubblica di ragioni e prospettive del governo.
Detto in altro modo, occorre sciogliere finalmente i grumi di ambiguità che si sono sedimentati sul rapporto tra questo governo nato dall'emergenza e il nuovo partito democratico uscito dal congresso, e che stanno finendo con lo sfibrare e sfilacciare la tenuta del gruppo parlamentare, e di conseguenza il percorso della legislatura.
Un compito, questo, che spetta in primo luogo a Renzi e a Letta, che senza personalismi e tenendo la barra dritta sull'interesse del paese devono spiegare con grande chiarezza se ritengono questo governo all'altezza delle difficoltà che ha di fronte, se giudicano opportuno un deciso cambio di prospettiva, oppure se considerano questa legislatura esaurita e il suo senso sostanzialmente fallito.
Io sono fermamente convinto che entrambi siano dotati di quello spirito di servizio, e di quel pizzico di generosità, che aiuterà a recuperare a questa legislatura la fisionomia riformatrice di cui il paese ha così disperatamente bisogno.
Ma occorre fare in fretta.



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