Nessun timore reverenziale nel discorso della fiducia di Matteo
Renzi. Alcuni obiettivi chiari, altri meno, nessuna cifra, conferma per
l'Italicum. Ma poteva prepararlo meglio
Le buone notizie innanzi tutto. Matteo Renzi non si fa cambiare
dal successo e dal contesto: nel giorno del discorso più importante e
solenne, gli affezionati riconoscono il proprio beniamino, la sua verve, la sua aggressività, l’assenza di timore reverenziale.
La schiettezza sul punto delicato è totale: cari senatori sono qui
per eliminare la vostra assemblea, così com’è, dalla scena
costituzionale. Analogamente, non ci sono equivoci possibili su altri
impegni cardine: la priorità alla dignità del sistema scolastico (a
partire dalle scuole come edifici: sacrosanto); l’attacco ai centri del
potere burocratico statale e alla inamovibilità dei dirigenti; la
volontà di spazzare via il potere dei Tar; l’abbattimento del carico
fiscale su lavoratori e imprese; l’eliminazione delle province; un
intervento sui mali della giustizia, che non c’entrano niente con la
guerra berlusconiana.
Altre buone notizie. La riforma elettorale non finisce nel
congelatore. S’è capito che Renzi è disposto a miglioramenti marginali
dell’Italicum ma lo vuole approvato entro l’estate, con un primo
voto alla camera nei prossimi giorni. Il legame con la più complessa e
lunga riforma costituzionale sarà «politico» e non giuridico, ammesso
che questo fosse possibile.
Infine, l’aggressività verso Cinquestelle: fino alle Europee e oltre,
quello di Renzi sarà un governo di battaglia contro Grillo e i suoi,
continuamente e irritualmente sfidati fin da ieri a palazzo Madama.
Infine, le notizie meno buone.
Va bene la genuinità. Ma estratta dalla Leopolda e privata di
videoclip, la retorica a braccio di Matteo Renzi crea confusione
nell’ascoltatore anche ben disposto. Senza dover per forza arrivare
all’impaludamento e alla liturgia, discorsi forti, chiari e dai
contenuti innovativi possono essere preparati e presentati con risultati
migliori, e con maggior rispetto per il parlamento. È poi legittimo il
dubbio che l’improvvisazione qui serva anche a sfuggire a impegni
precisi sul reperimento delle risorse e sui punti di mediazione con la
destra su ius soli e unioni civili.
Si intuisce la sfiducia del premier verso la solidità del quadro
politico che lo sostiene e verso la disponibilità del parlamento ad
assecondarlo. Di qui la minaccia del ricorso a elezioni anticipate. E se
è ottima l’intenzione di non rimanere a vivacchiare, certo ieri non si
sono dissipate le ombre sulle chances di successo di un’operazione lanciata più per necessità che per convinzione.
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