Una riforma al mese per Matteo Renzi. Per far dimenticare le
modalità di arrivo al governo, rispondere alla crisi e arrivare al
meglio alle Europee
Il tono, la postura, la gestualità sono quelle di un altro
Matteo Renzi, compreso e sicuramente emozionato in un ruolo che ha
sempre sentito suo ma al quale ora deve conformarsi. Le intenzioni che
il presidente incaricato ha enunciato appena fuori lo studio di
Napolitano, quelle invece sono terribilmente renziane, a partire
dall’irresistibile attrazione verso cronoprogrammi ed elenchi.
Terribilmente renziane perché a consultazioni da incaricato
non ancora iniziate, già Renzi si è vincolato al rispetto di scadenze
precise. Forse fin troppo.
L’agenda ha una sua logica stringente. Smentendo ogni scettico e ogni
insabbiatore, si riparte subito dall’Italicum e dai primi voti in
parlamento sulle riforme costituzionali.
Si può dire che Renzi voglia dotarsi fin dall’inizio dell’arma fin
qui indisponibile della minaccia di elezioni anticipate. Meno
maliziosamente va notato che sarebbe assurdo se la prima conseguenza
dello sbarco a palazzo Chigi fosse il ritorno nella famosa palude
dell’unica realizzazione politica del Renzi segretario del Pd. Inoltre,
non dispiacerà al premier (anche se la gestione del dossier sarà
difficile) mettere subito alla prova la tenuta della maggioranza
allargata delle riforme, quella che comprende lo scomodo Berlusconi e
vede a disagio il partner Alfano. Infine, sul punto c’è da rispettare un
impegno preso col capo dello stato.
Quanto al seguito del cronoprogramma del nuovo governo, il suo
traguardo è palese: le elezioni europee. L’intervento sul fisco – quello
che richiederà disponibilità di risorse economiche – cadrà a maggio in
piena campagna elettorale: non dispiacerà allora al premier poter
annunciare (se potrà farlo) tagli all’Irap e all’Irpef.
Nel frattempo, anche gli interventi sul lavoro (marzo) e contro la
burocrazia (aprile) si spera abbiano dato buoni ritorni d’immagine, non
sappiamo ancora quali effettivi benefici per gli italiani.
Lo sforzo di Renzi è quello di cancellare prima possibile dalla
memoria le discusse modalità del ricambio al governo. Dovessimo
esprimere un’impressione, rispetto a quelle giornate antipatiche siamo
già in un’altra atmosfera. La vittoria elettorale in Sardegna aiuta
molto (basti pensare che cosa si scriverebbe oggi delle responsabilità
di Renzi, se Pigliaru avesse perduto, com’era possibilissimo). Ma più in
generale le attenzioni dell’opinione pubblica, anche quella
politicizzata di sinistra, sono ormai proiettate più sul futuro che
ferme alla recriminazione sull’accaduto. Che non vuol dire oblio, e
questo Renzi deve saperlo.
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