Niente elenchi generici, ma una sola ricetta chiara: qualificare la spesa pubblica
In più di un’ora di discorso programmatico, il presidente del
consiglio ha detto, recitandole da par suo, molte cose. E non ne ha
dette molte altre. Non ha parlato né della Siria né dell’Ucraina. E
neppure della globalizzazione o dei mutamenti climatici. Non ha citato
il Mezzogiorno, né l’alta velocità ferroviaria. Non ha parlato dell’Expo
2015 e di tante, tante altre cose. Ha evitato insomma gli elenchi di
accenni, inevitabilmente generici, che hanno sempre lastricato le vie
infernali delle buone intenzioni dei nuovi governanti.
In effetti, Renzi, in quell’ora di discorso, ha detto una cosa sola,
ma fondamentale, e l’ha detta in modo chiaro e convinto. Il compito
principale del mio governo, ha detto in sostanza il nuovo premier, è
fare l’unica cosa che davvero dipende solo e interamente dalla politica,
dunque la cosa sulla quale, più di ogni altra, la politica viene
quotidianamente giudicata dai cittadini.
Questa cosa si chiama qualità, intesa come efficacia ed efficienza, della spesa pubblica.
Oggi gli italiani affidano allo Stato, in tutte le sue articolazioni
territoriali e funzionali, metà del reddito prodotto dal paese: circa
800 miliardi di euro l’anno. In cifra assoluta una quantità
impressionante di risorse. In percentuale sul Pil (per l’appunto circa
il 50 per cento), un livello da paesi scandinavi, da socialdemocrazia
realizzata. Peccato che questa imponente massa di risorse, frutto del
lavoro e della fatica degli italiani, non riesca ad essere né un
acceleratore della crescita economica, né un freno alla disuguaglianza
sociale: lo dimostrano i dati, sconsolanti, sull’andamento del prodotto,
ormai da decenni a livelli ben peggiori rispetto alla media europea; e
le cifre, se possibile ancora più frustranti, sull’aumento della
disuguaglianze, che fanno del nostro uno dei paesi più ingiusti
dell’Ocse.
Capovolgere questa situazione, facendo di quegli 800 miliardi un
volano anziché un freno della crescita e un fattore di vero riequilibrio
delle disuguaglianze prodotte dal mercato, è oggi, nella visione del
presidente del consiglio, la priorità assoluta del nuovo governo. Per
raggiungere questo obiettivo non si può e non si deve più usare la
vecchia ricetta del “tassa e spendi”, tanto dura a morire nelle menti e
nei cuori di sinistra, né quella dei “tagli lineari”, tanto cara alla
destra. Per rendere efficace ed efficiente la spesa pubblica, la
parola-chiave è la parola “riforme”: l’unica parola, quasi una password,
che se tradotta in fatti può darci anche la forza di incidere sui
vincoli, oggi paralizzanti, della disciplina europea.
Renzi ne ha indicate alcune, di riforme, da mettere in campo senza
perdere tempo: a cominciare dalle riforme elettorali e costituzionali,
passando per le regole del mercato del lavoro, quelle del fisco e della
pubblica amministrazione, fino alla giustizia, alla scuola, alla
cultura. Naturalmente, come tutti i riformisti (e al contrario dei
rivoluzionari immaginari), ora Renzi è atteso alla difficilissima prova
dei fatti. Ma è un buon motivo per dargli fiducia la sua scelta di
incorporare nella sua proposta programmatica un così forte senso del
limite e insieme dell’importanza della politica. E una così acuta
consapevolezza di come questo passaggio, che lo vede protagonista, sia
per certi versi l’ultima chiamata per una possibile riconciliazione dei
cittadini con la politica.
Matteo Renzi è un leader giovane, che ha avuto la sua scuola di
politica nei rami bassi del nostro sistema istituzionale: prima la
provincia, poi il comune. L’incrocio di questi due dati spiega la
modernità e la concretezza del suo approccio: ambiziosamente riformista,
proprio in quanto lucidamente consapevole dei limiti della politica.
Poco si può fare da palazzo Chigi (e perfino dalla Casa Bianca) per
dominare la crisi globale. Ma molto si può invece fare per dotare il
nostro paese della risorsa fondamentale per non soccombere nei grandi
cambiamenti che la crisi ha messo in moto: la risorsa rappresentata da
uno Stato moderno, forte perché leggero, da una pubblica amministrazione
rispettata perché amica dei cittadini, da funzioni essenziali come la
scuola o la giustizia nelle quali tornino ad essere il merito,
l’impegno, la valutazione dei risultati, la chiave per la necessaria
riconquista di autorevolezza e credibilità.
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