Matteo Renzi e le aule della diciassettesima legislatura non si
sono presi. C'è estraneità reciproca, perfino ostilità, nonostante i
voti di fiducia. Lui tornerà tra la gente, loro causeranno qualche
incidente.
Loro gli hanno dato il voto di fiducia, che è cosa diversa dalla
vera fiducia. Lui ha dato loro (più ieri alla camera che lunedì al
senato) attestati di rispetto, che è cosa diversa dal vero rispetto. Il
saldo finale è che Matteo Renzi e l’attuale parlamento non si piacciono.
Non si sono presi nelle due giornate di esordio del governo, dubito che
si prenderanno mai.
È una questione di chimica, prima che di politica. C’entra poco con
la distinzione tra maggioranza e opposizione. È un dato trasversale,
diffuso. Una sensazione che avverti sulla pelle lunedì nel gelo di
palazzo Madama. E martedì nel calore di Montecitorio: calore sì, ma per
l’abbraccio plateale, ostentato e insistito tra Bersani e Letta, non
certo per le parole stavolta attente, riflettute, preparate e ben
offerte dal presidente del consiglio.
Renzi e il parlamento della diciassettesima legislatura si ritrovano
insieme per necessità, più che per convinzione. Lui s’è imposto, loro
devono accettarlo. Hanno interesse comune a combinare qualcosa di buono e
di concreto dopo le stagioni dell’inconcludenza: e a questo fine
l’agenda, l’energia e la popolarità del premier sono essenziali anche a
deputati e senatori, compresi quelli d’opposizione.
Prima o poi però – tutto sta vedere quanto prima o quanto poi –
l’estraneità smetterà di essere sentimento e diverrà fatto politico.
Già Renzi ha trasferito il tormentone del «noi e voi» dai suoi
rapporti col Pd ai rapporti con le assemblee che dovranno approvargli
leggi, riforme e decreti. Oggi a Treviso riprenderà la sua strada fra la
gente, nell’ambiente che preferisce, sente favorevole, e che
contrappone a Roma, ai Palazzi, pur essendone ormai diventato un
inquilino, ma con la stessa fugacità mentale con la quale occupava una
stanza al Bernini Bristol.
Non è antiparlamentare, Renzi. Però è anti questo parlamento. E
ne viene ricambiato, dai senatori che vuole licenziare e dai deputati
il cui feeling istintivo è con Bersani, e perfino con Letta nonostante
ne siano stati duri critici e, per la parte Pd, i veri carnefici.
La dinamica politica non concede all’ex segretario e all’ex premier
alcuna ravvicinata possibilità di rivincita. Renzi rimarrà il dominus
della situazione, il controllo del Pd da parte sua è fuori discussione.
Ma oggi è chiaro che la famosa «sfrenata ambizione» può dispiegarsi
davvero solo con altri equilibri, altri rapporti di forza, in un altro
contesto, in definitiva con un altro parlamento.
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