Come della Chiesa anche nel Pd abbondano i prelati nostalgici, scandalizzati dallo sperimentalismo del Pd delle origini
Qualche anno fa, in una importante diocesi del Nord-Est
italiano, arrivò un vescovo nuovo, certamente santo, ma ancor più
evidentemente nostalgico. Appena assiso sulla cattedra episcopale, il
vescovo diede le sue disposizioni. Via tutto lo “sperimentalismo”
post-conciliare, bollato come confuso e ambiguo; ai margini i preti di
frontiera, considerati pericolosi per la fede e la morale dei fedeli;
via gli organismi pastorali partecipati dai laici, perché assai poco
disciplinati. Al loro posto, spiegava con gli occhi che gli brillavano,
dobbiamo riportare l’Azione cattolica in tutte le parrocchie. E il
seminario deve tornare a riempirsi, com’era pieno quando l’ho
frequentato io.
Non era cattivo, quel pastore. Era solo fuori dal mondo. E infatti
ebbe a soffrire molto dalle sue pecorelle. Le quali, ovviamente, non
vollero saperne di tornare come erano negli anni ’50, prima del
Concilio. Il solo risultato di anni di impegno pastorale fu dunque la
distruzione di ciò che era stato costruito nella difficile, tormentata,
anche contraddittoria stagione del post-Concilio. E che stava
faticosamente maturando.
Tanti preti ebbero a soffrire, talvolta in modo lacerante, per quella
repentina controsvolta. Molti laici si allontanarono, pochi
rumorosamente, molti silenziosamente. E non si vide invece traccia della
vagheggiata, impossibile restaurazione. Lo Spirito Santo ha dovuto
ricominciare da capo.
Mi è tornata in mente questa storia, tanto triste quanto istruttiva,
quando ho letto, come tutti, i non edificanti resoconti su alcuni
congressi di base per l’elezione dei segretari provinciali del Pd, nei
quali si sono verificati, diciamo così, episodi controversi. Anche nel
Pd abbondano i prelati nostalgici, scandalizzati dallo sperimentalismo
del Pd delle origini.
E preoccupati di ricondurre le forme organizzative, di quello che si
era presentato non come l’ennesimo “nuovo partito”, ma come un vero
“partito nuovo”, nell’alveo della tradizione consolidata: un partito è
un partito, dicono e ridicono questi amici e compagni, e i partiti sono
associazioni di iscritti, con le loro brave tessere, i loro
segretari-funzionari, le loro chiare gerarchie piramidali. Il resto
(partiti di elettori, dirigenti scelti con le primarie…) sono diavolerie
americane da “dottor Stranamore”.
Ma come non si può rifare la Chiesa degli anni ’50, con le sue
tessere di Azione cattolica e i suoi seminari affollati, così non si
possono rifare i partiti degli anni ’50. Se ci si illude di poterlo
fare, si distrugge il nuovo che sta faticosamente nascendo (e che
richiederebbe di essere accompagnato con intelligente apertura), senza
riuscire a far rinascere l’antico.
È quello che sta succedendo, un po’ dappertutto, in giro per
l’Italia. Si è voluto tornare all’elezione del segretario provinciale da
parte dei soli iscritti. Si è voluto che l’elezione avvenisse in un
momento distinto e precedente alla elezione del segretario nazionale (e
dei segretari regionali). Si è voluto evitare qualunque legame esplicito
delle candidature alla segreteria provinciale con quelle alla
segreteria nazionale.
L’intento alla base di queste decisioni è parso assai meno nobile di
quello del vescovo nostalgico: lui ha fatto quel che ha fatto perché ci
credeva, mentre nel Pd gli elementi di controriforma hanno mostrato
chiari segni di strumentalità all’obiettivo di impedire al candidato
potenzialmente vincente di conquistare la guida piena del partito. Ma il
risultato è finito esattamente allo stesso modo: nella trappola della
eterogenesi dei fini.
Non poteva esserci pubblica mortificazione, degli iscritti e delle
loro tessere, più umiliante di quella che ha conquistato in questi
giorni giornali e telegiornali. Del resto, la caduta verticale del
tesseramento, così come la sua improvvisa ripresa, esposta a gravi
rischi di inquinamento, non sono che le due facce della stessa medaglia:
quella della non riproponibilità del tesseramento classico come base
dell’elettorato attivo nel partito. (Diverso è il caso dell’elettorato
passivo, non a caso dallo Statuto del Pd saggiamente attribuito solo
agli iscritti).
Non poteva esserci congresso meno “dal basso” di quello che si sta
celebrando, se si prendono sul serio le dispute su quanti siano i
segretari provinciali “in quota Tizio” e quanti “in quota Caio”. Si è
fortemente voluto lo sganciamento delle candidature provinciali da
quelle nazionali per favorire una discussione politica libera da precoci
opzioni di schieramento. Si è ottenuto il risultato opposto, con la
politica scomparsa dai radar, occupati solo dalle conte nazionali per
interposta persona, attraverso i candidati locali.
Soprattutto, non poteva esserci esaltazione più preoccupante di
alcuni dei mali endemici più gravi della politica italiana: come
l’anarchia feudale, che rende ingovernabili e irriformabili i partiti
dal centro, proprio in quanto i gruppi dirigenti locali, grazie
all’accaparramento di piccoli pacchetti di tessere, diventano autocefali
e come tali inamovibili; il trasformismo, per il quale ad ogni cambio
di leadership nazionale si assiste a transumanze di massa verso i nuovi
vincitori, nell’assoluta indifferenza rispetto alla linea politica e
programmatica e nella pratica impossibilità, per la leadership
nazionale, di operare alcuna effettiva selezione all’interno della vasta
platea dei suoi sostenitori.
Insomma, «per la contradizion che nol consente», non è possibile
costruire il futuro cercando di restaurare il passato. Non è possibile
dar vita e dare gambe ad un partito del ventunesimo secolo, illudendosi
di poter usare schemi e paradigmi di quello precedente.
Naturalmente il nuovo non va solo invocato retoricamente. Né ci si
può limitare alla intuizione creativa di nuovi stili organizzativi. Il
“partito nuovo”, il partito di iscritti ed elettori, il partito delle
primarie, più e meglio di quanto si sia stati capaci di fare negli
scorsi anni, deve essere “ingegnerizzato”, tradotto in un modello
organizzativo aperto, ma anche stabile e riproducibile in sede
locale. Matteo Renzi è atteso alla prova dei fatti, anche e forse
soprattutto su questo terreno.
Nessun commento:
Posta un commento