Grillo strumentalizza platealmente la rivolta dei tranvieri, in
tutta Italia i sindaci delle grandi città soffrono sul trasporto
pubblico. Per uno di loro questo diventerà l'ennesimo test da superare
È stato facile per Beppe Grillo. Uscire di casa, raggiungere il
corteo dei tranvieri genovesi, mischiarsi a loro, farsi fotografare e
riprendere, incitare a estendere a tutta Italia «questa battaglia
epocale», poi andarsene quando stava per svolgersi un incontro col
presidente della Regione: «Non voglio farmi strumentalizzare, me ne
vado».
Facilissimo, così. Poi magari la rete – la mitica rete – ha una
discreta memoria e tira fuori dagli archivi i post nei quali (a urne
elettorali chiuse) il fondatore di M5S definiva insostenibile per
l’Italia il peso di quattro milioni di stipendi pubblici, proponendo
l’adozione del reddito minimo di cittadinanza. Anche per i tranvieri di
Genova?
Per chiunque altro, Genova e le dieci, venti, cento situazioni analoghe in giro per l’Italia non sono altrettanto facili.
Non c’è un solo sindaco di grande città che non debba fare i salti
mortali per tenere in piedi un minimo di servizio di trasporto pubblico,
soffocati tra patto di stabilità, blocco dei trasferimenti ai comuni,
inefficienza e obsolescenza delle vetture, rigidità sindacali (anche
comprensibili, dopo anni di restrizioni), fino all’abisso dello scandalo
romano dell’Atac: stamperie clandestine di biglietti e dirigenze
bipartisan indagate a fasci.
Per quanto siano preoccupati e arrabbiati, non credo che i tranvieri
genovesi siano disposti a farsi usare da incompetenti matricolati come i
seguaci di Grillo: non è un caso se dopo Parma nessuna città, provincia
o regione si sia più messa nelle mani di un amministratore grillino.
Ma questa non è una soddisfazione, tanto meno una risposta. È già
svanita l’illusione tardo-statalista che i servizi locali potessero
tornare a funzionare grazie a massicce iniezioni di chissà quali
inesistenti fondi pubblici. Il nodo della compartecipazione dei privati
si ripropone, con tutte le difficoltà e le perplessità lasciate da tante
esperienze andate male. La posizione che Marco Doria cerca
disperatamente di tenere (proprio per difendere il servizio pubblico
abbiamo bisogno di sostegno privato) è l’unica possibile ma appare
fragile.
Senza voler complicare una missione già difficile, è chiaro che per
molti motivi la grana di Genova sia già virtualmente sul tavolo di un
altro sindaco, segretario in pectore del primo partito del paese e aspirante problem solver
per tutte le Genova d’Italia. Del resto il tour finale di Matteo Renzi
per le primarie doveva partire da quella città, e proprio per la
situazione di tensione l’appuntamento è stato annullato: quale avviso
più esplicito?
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