Ieri Bersani e Letta sono tornati sui mesi dolorosi fra le elezioni
e la nascita del governo. Con una interpretazione francamente
sorprendente.
Da ieri la ricostruzione della dolorosa genesi delle larghe
intese tra Pd e Berlusconi ha una nuova versione, inedita. Molto
autorevole però. Perché l’hanno proposta due protagonisti assoluti,
molto vicini tra loro nei mesi che separano il pomeriggio del 25
febbraio dai giorni di maggio della nascita del governo Letta.
Uno è lo stesso presidente del consiglio, in questo caso in quanto ex
vicesegretario del Pd; l’altro è Bersani, nella doppia veste di allora
di segretario del partito e di presidente incaricato del primo tentativo
di governo. Appunto, del famoso “governo di cambiamento”.
Finora, la tesi di Bersani su quel passaggio era la rivendicazione di
una soluzione di governo che sarebbe stata possibile, e che invece fu
resa impossibile prima dall’ostinazione di Grillo e poi dallo
sbandamento e dal tradimento nel gruppo parlamentare Pd nelle votazioni
sul capo dello stato.
Ieri Bersani e Letta l’hanno raccontata in modo diverso.
In sostanza: il segretario doveva provarci (parole di Bersani) perché
né il suo popolo né i suoi parlamentari avrebbero accettato, subito
dopo le elezioni, una linea opposta a quella della campagna elettorale. Ergo
(parole di Letta): oggi le larghe intese non esisterebbero, se prima
Bersani non si fosse sacrificato per dimostrare che non c’erano altre
soluzioni.
Riandando a quei giorni, è una interpretazione sorprendente.
Francamente credo che nessuno abbia vissuto quei passaggi con la
sensazione che Bersani stesse arando il campo perché poi il Pd potesse
fare un governo con Berlusconi. E se c’era qualcuno che diceva cose
simili, stava dalle parti di Grillo e stava imputando al Pd-meno-elle di
fare manfrina in vista del compromesso col Caimano.
Ora sarebbe molto scocciante dover dare ragione postuma a Grillo.
Vorrebbe anche dire che la gente del Pd è stata un po’ presa in giro. E
che perfino lo scandalo menato sui 101 sia stato strumentale, se non
altro quando si è scaricato sui “traditori” la colpa di essere loro i
colpevoli delle larghe intese: a quanto pare era invece una prospettiva
ben presente da prima.
Non possiamo pensare cose del genere né di Bersani né di Letta.
Preferiamo altre ipotesi. Tipo che solo uno dei due interpretasse il
governo di cambiamento come l’avventura di un kamikaze. O che la
ricostruzione odierna serva, più che a riscrivere la storia, a difendere
la formula nei momenti difficili che devono arrivare.
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