Alfredo Bazoli
21 novembre 2013
La questione Cancellieri mi pare abbia messo a nudo alcuni
nodi che da tempo rendono accidentato il percorso politico del nostro
partito. Una vicenda che a mio avviso è stata affrontata e gestita in
modo poco lineare, e dalla quale la posizione del Partito democratico è
uscita in definitiva poco comprensibile. Si trattava di certo di una
questione assai delicata, sulla quale si era sedimentato nel corso di
queste settimane nell’opinione pubblica la sgradevole sensazione di un
trattamento di favore riservato dal ministro ai soliti amici e potenti,
in spregio ad ogni norma di opportunità e di correttezza nei
comportamenti istituzionali.
Una vicenda dunque che necessitava di una verifica rigorosa ed
attenta, di un giudizio equilibrato e serio da parte del Partito
democratico, che aveva il dovere di esprimersi in modo chiaro e
politicamente comprensibile, assumendo una decisione di sostegno
esplicito, ovvero di censura al ministro. Ma dopo un dibattito avvenuto
più sulle pagine dei giornali che negli organi competenti, e certamente
influenzato dalla fase congressuale che stiamo vivendo, la scelta del Pd
è stata sostanzialmente quella di rinunciare ad una discussione
interna, e di ribadire la fiducia al ministro sulla base del solo
richiamo alla responsabilità del presidente del consiglio. Lasciando
così ombre sulla opinione vera del Pd, e sulle motivazioni della propria
posizione politica.
Io credo che ciò sia dipeso in definitiva da due nodi che stanno
zavorrando in questa fase politica il percorso del Pd, ovvero la
mancanza di una leadership chiara e solida, e l’assenza di limpidezza
sul nostro ruolo dentro il governo di emergenza che stiamo sostenendo.
Due nodi che in parte si legano tra loro. Sotto il primo profilo, pare a
me che la lunga fase di transizione che sta vivendo il Partito
democratico, da quando cioè il gruppo dirigente che ha gestito le
elezioni e la fase post elettorale ha rimesso il suo mandato, si sia
trascinata per troppo tempo, anche per effetto dell’incomprensibile
slittamento di un congresso che evidente buon senso e ragionevolezza
suggerivano avvenisse il prima possibile, e non dopo mesi di
tentennamento dedicati a ragionare di regole interne.
Questa condizione di obiettiva debolezza politica del nostro partito
non solo ha finito con il rendere flebile la nostra voce, ma ha impedito
anche di gestire con la necessaria autorevolezza e risolutezza i
difficili passaggi politici che abbiamo vissuto in questi mesi, nei
quali la carenza di leadership ha alimentato tensioni e fibrillazioni
interne, scaricando sui gruppi parlamentari e sulla delegazione al
governo tutta intera la responsabilità di scelte che invece dovevano
trovare una loro collocazione dentro un quadro assunto e condiviso in
una cornice più ampia, quella appunto che solo un partito è in grado di
garantire. Anche in questa vicenda a mio avviso ha pesato molto questa
debolezza, così evidente da rendere quasi inevitabile o necessario il
ricorso alla ragione di stato per mantenere compatto il partito sulla
scelta da assumere. Ma questo nodo trascina con sé anche l’altro grande
equivoco che il nostro partito non è riuscito ancora a sciogliere, e che
riguarda le ragioni, il modo e gli obiettivi con i quali abbiamo deciso
di stare dentro questo governo.
Fin da quando questo governo è nato, in modo del tutto repentino e
dopo che ci si era affannati per settimane a sostenere che mai e poi mai
sarebbe stato fatto un governo politico con il centrodestra, è mancato
completamente un reale dibattito interno che consentisse di rendere
chiare, esplicite, e soprattutto condivise quelle ragioni, quelle
modalità e quegli obiettivi, alla luce dei quali ogni scelta inerente il
percorso difficile che stiamo facendo può e deve trovare idonea
collocazione. Anche e soprattutto le scelte che riguardano gli ostacoli e
gli incidenti di percorso che inevitabilmente si devono affrontare.
È chiaro allora che la fine del percorso congressuale cha stiamo
vivendo può portare con sé alcuni obiettivi ed evidenti benefici,
contribuendo a sciogliere quei nodi che rendono così sfuggenti e
complicate le posizioni politiche del Pd. Non c’è dubbio infatti che la
scelta di un nuovo segretario, con la legittimazione forte che deriverà
da un percorso congressuale articolato ed aperto, farà finalmente
cessare la sostanziale carenza di leadership che tanto ha pesato in
questi mesi.
Ma alla condizione che vengano sciolti una volta per tutte anche i
dubbi e le ambiguità inerenti il nostro modo di stare dentro questo
governo. Che io immagino e credo debba essere un modo esigente ma
convinto, con obiettivi limpidi e chiari sui quali possiamo e dobbiamo
scommettere, e attorno ai quali aiutare il governo, pungolandolo e
puntellandolo senza infingimenti e senza titubanze. Non nascondiamoci
dietro un dito, sappiamo tutti che un governo eccezionale nato in un
momento eccezionale si giustifica se raggiunge obiettivi alti, se riesce
a dare risposte all’altezza delle sfide difficili che abbiamo di
fronte. Occorre essere consapevoli che governare con i nostri avversari
rappresenta un obiettivo vincolo e limite, ma anche una opportunità,
perché consente di affrontare le riforme di sistema di cui il paese ha
assoluta necessità.
Allora si discuta di queste, ci si dia delle priorità, si individuino
le cose possibili da qui al 2015 dentro il perimetro politico nel quale
ci troviamo, e si lavori alacremente in quella direzione. Solo così, io
credo, il Partito democratico riuscirà a recuperare il centro di
gravità in grado di garantire solidità di visione e chiarezza di
comportamenti.
Concordo appieno, anche se non sono molto convinta che questo governo sia nato dall'emergenza, ritengo piuttosto che ci abbiano portato scientemente a questo governo. Sarò più chiara: a luglio dello scorso anno si è tenuto un convegno dove tutto ciò si è prefigurato...a questo convegno si trovarono tanti che ora sono al governo o con grossi incarichi. Sono sia di DX che di SX ma in maggioranza provengono dalla stessa casa, la famosa "balena bianca", a parte qualche ciliegina rossa. Radio radicale ha tutte le registrazioni del convegno a Chiesa Val Malenco di questi "riformisti" che di riformista hanno solo il nome. Lì si disse che il candidato alla coalizione sarebbe stato Bersani, primarie o non primarie, ma che non sarebbe stato premier perché sarebbe stato concordato fra le parti. Un certo Buttiglione da qualche parte suggeriva di cambiare nome a IMU per cmq far cassa. Non ricordo chi disse che ormai la "barca" era in acqua e non l'avrebbero fermata. Son tutti lì gli audio per chi si prendesse la briga di ascoltarli. Tante di quelle persone fanno parte delle stesse fondazioni e non ditemi che quelle non contano...spero che col cambio si abbia anche ricambio, sarebbe davvero triste svegliarsi il 9 e trovare nelle dirigenze nuovamente le stesse persone!
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