Quale peso dare davvero alla scissione del centrodestra. E quale
decisione devono prendere presto il Pd e il suo segretario.
Eugenio Scalfari ci vede addirittura «la nascita di una destra
repubblicana». Che sarebbe una bellissima notizia, intendiamoci, solo
pare un po’ esagerata di fronte alla scissione concordata tra i
berlusconiani di Forza Italia e i berlusconiani del Nuovo centrodestra.
Il fatto è enorme, e avrà un impatto sul quadro politico e sulla
legislatura; però è importante capirsi su ciò di cui realmente si
tratta.
La rottura è vera, non è una messa in scena. Non nasce però da un
giudizio finalmente maturato ed espresso sulla fine del ruolo di
Berlusconi, sulla necessità di nuovi assetti svincolati dalla centralità
del fondatore, sulla pericolosità della sua propaganda populista. Da
Alfano e dai suoi non si è sentito, finora, nulla del genere. Mentre
sappiamo benissimo che negli ultimi due mesi le tensioni personali
all’interno del Pdl avevano raggiunto livelli insostenibili; che la
ricostruzione di Forza Italia a opera di Verdini e Santanchè escludeva
perfino fisicamente il vicesegretario del Pdl (neanche una stanza nella
nuova sede di San Lorenzo in Lucina); e che alla fine un esausto e
amareggiato Berlusconi si è arreso di fronte alla propria incapacità di
mediare, ricucire, rimettere insieme gente che letteralmente si odiava.
Questo è quello che è successo. È vero, finalmente è stato tirato fuori il famoso quid.
Ma non c’è alcun nuovo disegno per il paese. Tant’è vero che Berlusconi
assimila il neonato partito agli alleati della Lega e di Fratelli
d’Italia. E che la prospettiva che il Ncd si dà è quella di tornare a
convergere appena possibile, naturalmente dopo aver stabilito rapporti
di forza più favorevoli: nulla di sorprendente, se solo si studiano le
biografie del ceto politico scissionista.
Naturalmente gli eventi possono travolgere questo comodo e
relativamente indolore schema di divisione concordata. Fin dalle
prossime settimane. Dunque il Pd avrà presto modo di verificare le
intenzioni reali dei suoi “nuovi” alleati di maggioranza, e di prendere
le contromisure adeguate.
Non è in discussione quale sarà la gestione della decadenza
parlamentare di Berlusconi: s’è già capito che i berlusconiani d’ogni
fede alzeranno alti lai tenendone però al riparo il governo.
Piuttosto: la partita sulla legge di stabilità si sbloccherà in
favore di misure più forti per il lavoro, chiudendo l’estenuante tira e
molla su Imu e dintorni visto che Brunetta è diventato inessenziale?
Le riforme istituzionali e la riforma elettorale usciranno dalla
palude, e in quale direzione? Per mettere in sicurezza il bipolarismo o
per lasciare aperta la strada a operazioni neocentriste? Perduta la
zavorra belusconiana, governo e maggioranza saranno più agili e veloci
nell’abolizione delle Province e del senato, nella promessa e mai
attuata riforma del finanziamento pubblico dei partiti, magari perfino
nella riforma della giustizia?
Su quasi tutti questi temi Alfano ha chiesto ai propri elettori (?)
dodici mesi di tempo per essere giudicato. Esattamente la stessa cosa
che aveva fatto Matteo Renzi chiudendo la Leopolda un mese fa, perfino
quasi sugli stessi temi.
Non so se Renzi dicesse la verità, dando a se stesso (e quindi al
governo Letta) quel termine: la fine del 2014. Mentre sono certo che
Alfano è più che sincero: un anno è il minimo che serve al centrodestra,
vecchio e nuovo, per rimettersi in condizione di competere. Passando da
elezioni europee, a fine maggio, affrontate con la parola d’ordine
della vendetta italiana (e berlusconiana) contro Germania e Francia,
contro una moneta “straniera”, contro i lacchè italiani delle arroganti
potenze occupanti.
Il Pd può reggere questa situazione, ci chiediamo ormai da giorni?
Sulla questione Cancellieri, ormai la ragion politica spinge verso un
esito abbastanza ineluttabile. A parte questo, Letta fa bene a mandare
presto il ministro Quagliarello a spiegare a Renzi che cosa il governo
voglia fare davvero sulle riforme. Gli sarebbe anche molto utile
predisporre qualche misura economica che il Pd possa considerare
“propria”, dopo mesi di sacrifici e di senso di responsabilità: solo che
da Bruxelles è calato venerdì un ukaze di senso opposto. Di nuovo
l’Europa ci vuole austeri, vuole che vendiamo beni pubblici, vuole che
tagliamo la spesa: tutta benzina nel motore di chi si oppone a Letta,
non di chi lo sostiene.
Nei mesi a venire il governo sarà sempre di più il punching ball
di forzisti e grillini, ma continuerà ad avere una sufficiente
protezione dai numeri parlamentari, dalla convenienza di Berlusconi (a
tenere in piedi il punching ball) e soprattutto dall’assenza di una decente legge elettorale.
Come si proteggerà e si garantirà invece il Partito democratico?
Mentre affluiscono i dati dalle convenzioni locali, che sembrano
anticipare il probabile esito delle primarie dell’8 dicembre, Matteo
Renzi sa di essere atteso presto alla decisione più difficile della sua
carriera politica. E nonostante tutto, è molto improbabile che possa
scegliere la strada che gli consigliano il cuore, l’istinto e il calcolo
personale.
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