Berlusconi e Grillo mobilitano la propria gente. Le primarie devono
diventare una grande prova di forza democratica, la prova che il Pd è
pronto a qualsiasi evento.
Può darsi che sia un po’ eccessivo parlare di «strategia della
tensione», come fa il Pd a proposito della manifestazione di oggi:
perché questo concetto purtroppo in Italia ha un significato molto
preciso, storicamente legato a fatti terribilmente più seri e pericolosi
dell’adunata forzista. Inoltre, per quanto i toni siano infuocati e
alcune frasi inaccettabili, sarebbe anche troppo pretendere che i fedeli
di Berlusconi assistano senza reagire all’espulsione del loro mito
dalla vita istituzionale.
La svolta politica che si realizza in queste ore è densa di pericoli,
per il paese e per i democratici. Certo sarà difficile nel centrodestra
gestire lo sdoppiamento dei berlusconiani come una astuta mossa
tattica: a occhio i rapporti fra i due pezzi del Pdl sembrano destinati a
peggiorare. Ma rimane fondatissima la paura del Pd di finire
schiacciato tra la fedeltà a un governo che gode di una maggioranza
ormai esigua, e l’aggressività di opposizioni assatanate, convergenti
sull’esasperazione populista e già in clima di campagna elettorale
europea.
Alla luce di quanto sta accadendo, tutti dovrebbero riconoscere
l’importanza per il Pd di essersi messo nelle condizioni di non subire
le offensive altrui; di aver proceduto in tempo alla sostituzione di
gruppi dirigenti dalla credibilità gravemente lesionata; di sentirsi a
sua volta pronto (e per alcuni perfino voglioso) per lo show-down
elettorale. Tutti quelli che si sono battuti strenuamente per non far
svolgere congresso e primarie alla scadenza prevista dovrebbero pensare a
quanto brutta e confusa sarebbe la situazione adesso.
Ora si può ulteriormente approfittare dell’occasione. Se l’Italia è
scossa dalle mobilitazioni di piazza degli opposti estremismi (Roma
oggi, Genova il primo dicembre), le primarie dell’8 devono diventare una
grande risposta civile e democratica, la mobilitazione numerosa di un
altro popolo non rabbioso né disperato, ma non meno determinato.
Insomma, l’8 dicembre diventa inevitabilmente da oggi qualcosa di più
della semplice scelta del segretario del partito. Tutto il Pd e tutti i
candidati devono squillare le trombe di una prova di forza collettiva,
il messaggio al paese di chi dà una garanzia di tenuta e di rinnovamento
vero, serio, non declamato. Dovrebbe risultare ovvio che il primo
beneficiario di una simile affermazione di affidabilità sarà Enrico
Letta, il presidente del consiglio di un governo che avrà davvero molto
bisogno di aiuto.
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