Dalle foto di Renzi, Cuperlo e Civati un'immagine che vale più dei
loro discorsi. Ci sono inevitabili durezze da primarie, ma il Pd dei
giovani vuole farsi valere soprattutto fuori: col governo e con gli
avversari-alleati
Pur essendo un passaggio più burocratico che politico, la
Convenzione democratica dell’Ergife rimarrà nella memoria. Per alcune
foto, più che per le cose dette. Per la conta di chi non c’era, più che
per quella dei delegati presenti.
La foto ovviamente è quella dei tre candidati sorridenti seduti
vicini in prima fila. Dal palco si sono scambiati colpi non proprio
leggeri, soprattutto Cuperlo contro Renzi. Ma l’immagine che hanno
voluto trasmettere, con una certa sapienza, è stata quella di tre
giovanotti bellocci, abbastanza amici, in competizione fra loro ma uniti
dalla volontà di dare della leadership Pd un’idea finalmente positiva,
leggera, drasticamente rinnovata e quindi, in sostanza, incolpevole per i
disastri della generazione precedente.
La quale, altrettanto saggiamente, s’è sottratta al confronto. Con
pochissime eccezioni, si sono tenuti alla larga dall’Ergife le donne e
gli uomini della nomenklatura uscente, a cominciare dall’ex segretario
Bersani per finire con D’Alema e Veltroni. Il che ovviamente non
significa che si siano arresi alla rottamazione, che rinunceranno a
giocare ancora le proprie carte, e che quelli di loro che hanno preso
duramente parte nelle primarie non torneranno a entrare in tackle.
Diciamo che preferiscono non farsi vedere in giro con i loro giovani
successori, e già questa non è una piccola ammissione di crisi.
Per quanto ancora informe e indefinito, s’è ritrovato all’Ergife il
gruppo dirigente allargato del futuro Pd. Volendo, c’è anche poco da
ricamarci sopra: dopo una batosta come quella del febbraio scorso, in
qualsiasi partito democratico del mondo sarebbe successa (subito) la
stessa cosa. Già che ci sorprenda e che se ne debba scrivere, è il segno
di una arretratezza.
Gli interventi dei candidati (tranne quello di Gianni Pittella) sono
stati meno belli di quelli dell’ultima assemblea nazionale. Ma offrono
alcune tracce politiche.
Gianni Cuperlo è stato di gran lunga il più aggressivo, il che si
capisce visto lo svantaggio che deve recuperare. Come al suo solito
molto quadrato, razionale, evocativo, si è acceso nei ripetuti attacchi a
Renzi sostanzialmente liquidato come un uomo di destra che camuffa la
vera essenza del suo progetto neoliberista e presidenzialista. Evidente
il richiamo della foresta, l’appello tribale (ancorché intelligente e
argomentato) alla sinistra “canonica” (visto che lui stesso ha voluto
evocare il concetto).
La durezza di Cuperlo non deve stupire né innervosire, come del resto
non s’è affatto innervosito Renzi: è nella logica del passaggio
congressuale. L’importante sarà che Cuperlo, dovesse perdere l’8
dicembre, non autorizzi nessuno dei suoi a forzare ulteriormente sul
tema dell’alterità genetica: i danni potrebbero essere devastanti.
Soprattutto per la sinistra appunto “canonica”.
Renzi ha replicato blandamente, non ha usato nessuna delle possibili
armi contraeree. Ha fatto bene, perché può permetterselo alla luce del
voto degli iscritti e delle promesse dei sondaggi. In queste fasi – andò
esattamente allo stesso modo un anno fa contro Bersani – Renzi ci tiene
ad accantonare ogni atteggiamento divisivo. Sa di dover essere
rassicurante. Stavolta poi, ancora di più.
Così come hanno fatto un moderatissimo e pacatissimo Civati e un
infuocato Pittella. I loro interventi completano il senso politico
generale della giornata: di nuovo, come nell’assemblea di settembre, il
Pd nel suo insieme si dice scontento e insoddisfatto dei risultati del
governo Letta. Alza ulteriormente l’asticella da scavalcare per
guadagnarsi la durata nel 2014. Non concede neanche la soddisfazione di
riconoscere il successo politico della spaccatura del Pdl. Anzi, come
abbiamo scritto tante volte, vede nella divisione dei berlusconiani un
rischio in più.
Di tutti i dossier possibili, oltre ai temi economici, è la riforma
elettorale quello che Renzi e i suoi colleghi candidati sbattono sul
tavolo di palazzo Chigi. Può darsi che alla fine sarà la Corte
costituzionale a dare una mano a loro e a tutti i fautori del Mattarellum,
ma senza aspettarne la pronunzia il Pd vuole cambiare subito passo
rispetto allo stallo di cui innanzi tutto il Pd stesso s’è reso
responsabile fin qui.
È un preannuncio di crisi per il governo? Diciamo che, in ogni caso, è
una bella accelerazione se non altro verso la possibilità di far
svolgere le elezioni.
L’inserimento di Angelino Alfano è una mossa abile, intelligente,
rispettosa: da capo-partito, propone al Renzi possibile capo-partito un
patto per riempire proficuamente i prossimi dodici mesi, con impegnative
riforme istituzionali a partire dalla agognata fine del bicameralismo.
La replica dei renziani è già in puro clima di “orgoglio democratico”:
vi staremo a sentire, ma noi alla camera siamo trecento e voi trenta.
Sarà tutto così, fino all’8 dicembre e con una fiammata di
eccitazione dopo il voto di mercoledì prossimo sulla decadenza di
Berlusconi. Buono a sapere, alla guida del Pd ci sono dei ragazzi
piuttosto determinati a farsi valere non solo fra le mura di casa.
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