Le critiche di Bruxelles alla legge di stabilità sono un brutto
colpo. Perché indeboliscono l'unico vero punto forte di Letta, e perché
incoraggiano l'aggressività euroscettica del Pdl.
Rischia di essere un colpo più duro dell’ultimo tabulato delle
telefonate del signor Cancellieri. Più pericoloso dei morsi della
Santanchè. Più destabilizzante di una vittoria di Matteo Renzi.
Perché ognuno di questi eventi insidiosi per il governo – e perfino
la loro somma – può essere superato dal partito delle larghe intese, a
patto che si possa continuare a dire e a credere che Letta e Saccomanni
sono i titolari della nostra assicurazione sulla vita in Europa.
E invece da ieri, in micidiale sincronia con tante fibrillazioni
politiche domestiche, Bruxelles pare aver ritirato il voto di fiducia
verso il governo italiano, o almeno verso la sua legge di stabilità. Che
non è poco, soprattutto perché la conseguenza immediata dell’impietoso
giudizio tecnico-politico sull’andamento del nostro debito e sulla
credibilità delle previsioni di entrata è la scomparsa di quei tre
miliardi di euro di bonus europeo che per Letta rappresentavano, fra
tante altre coperture incerte, una risorsa essenziale. Essenziale,
appunto, non solo finanziariamente ma anche politicamente.
Ora è presto per allarmarsi. La bocciatura pronunciata dal simpatico
Olli Rehn deve ancora essere formalizzata e non c’è dubbio che nel
frattempo si siano messi in azione potenti motori politici e
diplomatici. Inoltre esistono molte possibili gradazioni di un giudizio
critico: fin qui siamo all’incoraggiamento affinché l’Italia faccia di
più sul taglio della spesa pubblica.
La prima risposta di Saccomanni è stata molto recisa e ha rinviato a correzioni che il governo ha già in programma di fare.
Qui viene il vero problema politico: che nell’iter parlamentare della
legge di stabilità le pressioni contrapposte di Pd e Pdl non spingono
in alcun caso verso ulteriori restringimenti di spesa. All’opposto: la
tendenza a «chiedere di più» per le categorie e gli interessi
rappresentati più solo crescere.
Soprattutto da parte berlusconiana. Soprattutto per l’opportunità di
scaricare su un governo non amato le tensioni interne. E soprattutto se
questo si può fare giocando sulle pulsioni antieuropee,
sull’insofferenza per i richiami all’austerità di personaggi come Rehn,
pensando fin d’ora di poter spendere questi brandelli di orgoglio
nazionalista nelle prossime elezioni per Strasburgo.
Nell’insieme, diciamo che ieri l’Europa è stata matrigna con il più
giovane ed europeista dei suoi premier. Non una mossa lungimirante, a
occhio.
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