Corriere della Sera 04/06/15
Marco Galluzzo
L’elaborazione del voto non è finita
e nemmeno quella sorta di silenzio (almeno rispetto agli standard
comunicativi) che si è autoimposto dalla notte dello spoglio. La
rabbia per la perdita della Liguria è sbollita, quella per le
modalità della sconfitta ancora no: «Sono disposto a ragionare con
chiunque, ma non con chi non ha votato l’ultima fiducia al governo,
con chi non crede nell’azione portiamo avanti».
Da Palazzo
Chigi trapela pochissimo, di prima mattina i dati sull’occupazione
valgono l’unica comunicazione, via tweet, del presidente del
Consiglio: il messaggio è un «avanti tutta sulle riforme» che non
lascia spazio a margini di incertezza. Lunedì sera, al rientro dal
G7 in Germania, a meno che la direzione del partito non slitti di un
giorno, farà un’analisi delle Regionali che metterà nel mirino
chi ha remato contro, chi punta in modo «inaccettabile» a mettere i
bastoni fra le ruote del governo, che avrà probabilmente tratti
inediti: «Rielaborando i dati — dice il leader ai suoi — il
partito è al 37 per cento, nessuno ha fatto un’analisi puntuale».
Insomma Renzi è pronto a ricucire, dentro il Partito
democratico, con tutti coloro che ci credono, che riconoscono i
frutti dell’azione del governo, che lavorano in modo costruttivo
per migliorarla: sta anche valutando se concedere più tempo alla
discussione sulla scuola. Ma con gli altri, «con quelli che non ci
credono» c’è poco da discutere o da fare: la linea del presidente
del Consiglio non cambierà per quella che viene giudicata come una
naturale ammaccatura di Midterm, «cosa che in qualsiasi Paese
avviene, per un partito di governo, soprattutto se si fanno le
riforme».
Per questo c’è da aspettarsi che lunedì
arriveranno parole molto chiare sull’atteggiamento di quella
minoranza che agli occhi del premier ha il solo scopo di indebolirlo:
«Non scendo a patti con nessuno, basta veti e basta discutere
all’infinito di tutto, l’azione di governo andrà avanti
spedita», è la linea che viene dettata ai suoi.
Anche il
ritorno delle previsioni matematiche sui numeri al Senato, su una
maggioranza che sarebbe sul punto di sfarinarsi, vengono bollate come
propaganda messa in giro ad arte: a Palazzo Chigi si dicono più che
tranquilli, «abbiamo 30 voti di vantaggio e non cambierà nulla».
Il gruppo nuovo dei fittiani, la fuoriuscita di due senatori
dell’area popolare che già non votavano per il governo (Mauro e Di
Maggio), non cambiano gli equilibri su cui Renzi si dice sicuro di
poter contare.
Del resto in queste ore Renzi è impegnato anche
su fronti internazionali che a suo giudizio dovrebbero venire prima,
e non dopo, le fibrillazioni interne del suo partito: nel corso del
G7, domenica e lunedì, nonostante non sia nell’agenda formale del
vertice, e non sia fra gli argomenti che Angela Merkel ha scritto a
vari quotidiani europei presentando l’appuntamento, si discuterà
anche di Libia, della situazione di crisi interna al Paese, della
bozza Onu che l’Italia sta spingendo e la cui approvazione al
momento appare più complessa di qualche giorno fa.
Di Libia, e
dunque di immigrazione clandestina, e anche di Siria, visto che le
ultime notizie allarmanti che fanno sponda fra le Capitali, e
arrivate anche a Palazzo Chigi, raccontano di un Assad che starebbe
sostenendo l’Isis utilizzandolo contro una delle proprie
opposizioni interne. Non ci sarà Putin, e questo rende forse zoppa
(se non controproducente) ogni discussione sulla Libia, ma anche la
suggestione internazionale di restituire un ruolo ad Assad, per
arginare l’avanzata del Califfato, viene meno.
Nella distanza
fra questi argomenti e le polemiche interne al suo partito c’è
anche una chiave del silenzio di Renzi
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