ALBERTO D’ARGENIO
La Repubblica 7 giugno 2015
Il premier Lo scandalo Mafia Capitale
nell’intervista a “Repubblica delle Idee”. “Potevamo far di
più, ma la risposta ora c’è” L’altolà ai dissidenti del Pd:
“Dalla base email per dirmi di farli fuori tutti In una comunità
si rispettano le regole sennò è un partito anarchico”
Chi è condannato per corruzione deve
uscire per sempre e «senza pietà» dalla politica, ma fino a quel
momento vale la presunzione di innocenza e resta al suo posto. E
ancora, no al reddito di cittadinanza e apertura alle modifiche sulla
riforma della scuola. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi arriva
a Genova per “Repubblica delle Idee”. Intervistato sul palco del
Carlo Felice dal direttore di Repubblica Ezio Mauro, il
premier-segretario spiega che alla direzione del partito di domani
aprirà una discussione sulle primarie ma pensando alla minoranza
insiste che chi perde le battaglie interne poi deve accettarne il
risultato. «Altrimenti diventiamo un partito anarchico».
Presidente, ritiene di avere vinto o
perso alle regionali?
«Il Pd ha vinto, governiamo 17 regioni
e abbiamo un consenso nel Paese che è il più forte di tutta la
sinistra europea. Però non basta. Avere qualche battuta d’arresto
sul tema dell’astensionismo e nella lotta con Grillo e Salvini è
un segnale da non sottovalutare. Il Pd deve fare una riflessione,
peraltro benvenuta: una settimana fa tutti a dire che ci trovavamo di
fronte alla svolta autoritaria del Pd di Renzi, oggi siamo nella
terapia di gruppo all’insegna dell’ “abbiamo perso le
elezioni”. Un po’ di buon senso ci aiuta sempre a rimetterci in
gioco. Non dimentichiamo però che mai c’è mai stato un partito al
40% che domina 17 regioni».
Mettendo insieme Veneto e Liguria è
sembrato che la dichiarazione d’amore tra il renzismo e il Nord si
sia rivelata un flirt estivo.
«Non so se sia un rapporto
occasionale, ogni elezione ha una storia a sé. Abbiamo avuto
risultati straordinari non solo al Sud, ma anche in alcuni comuni del
Nord e per questo dire che il Nord ha avuto soltanto un’esperienza
occasionale mi sembra riduttivo. Secondo me la partita è ancora
molto aperta».
E’ la prima occasione per guardare in
faccia i cittadini della Liguria che hanno voltato le spalle al Pd:
cosa gli vuole dire?
«Che il Pd rifletterà perché i
cittadini non sbagliano mai».
Cos’è andato storto?
«Se abbiamo perso in Liguria abbiamo
sbagliato noi, quelli che trovano alibi o che maramaldeggiano lo
sconfitto addossandogli le colpe si comportano in un modo indegno di
una comunità. Ma è altrettanto evidente che in Liguria, come nelle
altre regioni, ci siamo affidati alla scelta del candidato alle
primarie e allora se il Pd vuole discutere di candidature fatte bene
o male deve avere il coraggio di chiedersi se le primarie siano uno
strumento che va bene oppure no. Se vogliamo cambiare si fa una
grande discussione, la inizieremo in direzione. Una volta esaurita la
discussione però dovrà essere chiaro a tutti che quando stai dentro
ad una comunità ne rispetti le regole perché sennò non è più il
Partito democratico ma un partito anarchico».
Però chi guida la barca ha la
responsabilità di tenere tutti a bordo mentre lei dà spesso
l’impressione di mettere nella stiva chi viene dai Ds. Loro non
sono inquilini morosi, sono padroni di casa come lei.
«Tutti e sette i candidati alle
regioni venivano dai Ds e nel mio governo non c’è che da contarli.
Mi si accusa di metterli in un angolo? Dipende dal tema. Sulla legge
elettorale sì, perché dopo anni in cui si continuava a rimandare
era arrivato il momento di decidere. Sul lavoro anche, perché le
nostre riforme sono molto più di sinistra di quelli che fanno i
convegni e vedono chiudere le fabbriche».
Sulla scuola procederete allo stesso
modo?
«No, sulla scuola no. Abbiamo bisogno
di ascoltare e abbiamo aperto un cantiere perché se mettiamo un
miliardo in più, assumiamo 100mila persone, diamo più soldi ai prof
e abbiamo fatto arrabbiare tutti vuol dire che qualcosa non ha
funzionato e il colpevole sono io, ho fatto un bel capolavoro. Serve
un confronto ma non ci arrenderemo a chi dall’alto delle sue
posizioni di rendita pensa che la scuola sia intoccabile. Ci
metteremo una settimana in più ma poi decideremo».
Lei può prendere l’impegno che non
farà leggi ad personam per De Luca?
«Assolutamente sì, il tempo delle
leggi ad personam è finito. La Severino prevede la sospensione e il
governo farà ciò che deve fare a norma di legge. E’ un problema
da risolvere ma oggi modificare la Severino sarebbe un atto ad
personam e noi non ne facciamo. Questo paese ha bisogno di regole più
chiare e semplici e chi viene condannato deve uscire definitivamente
dalla politica».
Però non si può delegare tutto alla
magistratura. C’è un problema di selezione della classe dirigente
del suo partito?
«E come si fa a selezionarla? Facciamo
le primarie o cambiamo radicalmente?».
Il caso di Roma è drammatico perché
si lucra sugli immigrati e per la subordinazione della politica al
malaffare.
«Sottoscrivo».
Lei ha un sottosegretario dell’Ncd,
Giuseppe Castiglione, indagato. E ha detto che non si fa dimettere
qualcuno per un avviso di garanzia. Si può andare avanti così?
«Io ho anche un padre indagato qui a
Genova e se mi fossi basato sugli avvisi di garanzia avrei dovuto
impedire ai miei figli di vedere il nonno. Invece dopo otto mesi la
procura ha fatto richiesta di proscioglimento. Ho cinque
sottosegretari con l’avviso di garanzia, tre del Pd, ma siccome ho
giurato sulla Costituzione penso che un cittadino sia innocente
finché non è provato il contrario. Questo per me è il discrimine
tra giustizia e giustizialismo. Non mi troverà mai dalla parte di
quelli che chiedono le dimissioni per un avviso di garanzia, a meno
che non ci siano evidenti motivi di opportunità. Se invece sei
colpevole saremo senza pietà, vai subito a casa».
E sul Campidoglio?
«Marino e Zingaretti hanno dimostrato
con il proprio lavoro di essere altro rispetto alla cricca
dell’inchiesta su Roma. Dobbiamo riconoscere i colpevoli veri senza
sparare nel mucchio. Se dicono che il Pd è coinvolto mi devono dire
nome e cognome e se poi lo è davvero lo cacciamo e se deve andare in
carcere ci deve stare dentro fino all’ultimo giorno».
Ritiene che la crisi economica sia
finita?
«No, non ne siamo ancora fuori, lo
saremo quando recupereremo un posto di lavoro in più rispetto ai
927mila persi negli ultimi cinque anni. Inoltre nella grande
discussione sulla sinistra sarebbe interessante ragionare sul reddito
di cittadinanza che secondo me è incostituzionale. L’articolo 1
della Costituzione dice che l’Italia è una Repubblica democratica
fondata sul lavoro. Affermare che il compito della politica sia dare
un assegno a chi non ha lavoro per me è la cosa meno di sinistra che
esista. Il compito della sinistra è creare le condizioni perché ci
sia un lavoro per tutti, non l’assistenzialismo per tutti.
Ovviamente se uno perde il lavoro è giustissimo farsene carico».
Lei ha detto che se facciamo le riforme
a settembre andremo in Europa a fare casino. Cosa pensa di fare?
«L’Italia in questi anni ha fallito
perché non ha fatto le riforme e perché l’Europa ha sbagliato
strategia scegliendo una strada tutta legata al rigore. Le riforme
sono la premessa per poter dire che adesso dobbiamo discutere del
futuro dell’Europa, che è arrivato il momento di credere di più
negli investimenti, che l’Europa solida e solidale non può essere
quella dello spread. Per me questa è la sinistra, non quella del
Podemos o del Dovemos. Le riforme sono la premessa per andare in
Europa a combattere questa battaglia e a quelli che vogliono bloccare
l’Italia rispondo che possono mandarci a casa, ma non fermarci».
Però non tutti quelli che le fanno
obiezioni o la criticano vogliono necessariamente bloccare le
riforme. Non sono dei gufi. Lei ogni tanto dà l’impressione che
quando è al bivio tra la scelta politica e quella muscolare sceglie
sempre la seconda.
«Io penso che se sulla legge
elettorale non avessi fatto una scelta muscolare avrei fatto un danno
al Pd e all’Italia. Dopodiché si può anche sbagliare».
Perché rinuncia all’unità del
partito e si accontenta di essere segretario solamente di metà del
Pd?
«Tenere compatto il Pd è
responsabilità del segretario, ma c’è bisogno di regole
condivise, se aderisci a un partito politico e perdi una battaglia
non hai diritto di uscire spaccando la porta e portando via il
pallone. Altrimenti è finita la storia del Pd».
Se il Partito della nazione da lei
evocato significa un fusto ben piantato a sinistra ma con le fronde
che arrivano al centro, è quello che la sinistra aspettava da
sempre. Se invece è un partito della sostituzione in cui si usano
ceti e interessi per sostituirne altri, molta gente non ci starebbe.
«Ovviamente sogno un Pd che sia della
nazione nel senso che sappia parlare con tutti, senza la puzza sotto
il naso e che capisca che quando vai alle elezioni devi prendere
anche i voti degli altri partendo però dalle radici di quello che
sei».
Una leadership si misura dalla capacità
di tenere insieme la comunità che si guida: alla direzione del Pd ci
andrà vestito con la mimetica come in Afghanistan?
«Gli iscritti che ci scrivono via mail
vorrebbero ci andassi direttamente con i reparti speciali. Girando
per le cucine delle Feste dell’Unità trovi gente che non ha votato
per me alle primarie ma mi dice: “Falli fuori tutti”.
Naturalmente non è questa la soluzione. Faremo una riflessione su
quanto accaduto, offriremo un dibattito vero ma chiederemo lealtà di
comportamenti perché se uno in nome del proprio interesse rompe le
regole del gioco non c’è futuro per una comunità».
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