Corriere della Sera 13/06/15
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Il centro è cieco, la verità si vede
solo dai margini. La frase, che in realtà è l’enunciazione di un
metodo, risale agli studiosi del colonialismo inglese, ma può
funzionare anche se applicata alla nostra politica, sempre più
romanocentrica in questi tempi di rinnovato centralismo e di
aspiranti o nascituri Partiti della Nazione. Nonostante lo «stiamo
tutti bene» lanciato da Matteo Renzi alla direzione nazionale del
Pd, lo stato di salute delle periferie dell’impero non è dei
migliori. Là fuori, il cannibalismo risulta ancora in voga tra le
varie tribù che dovrebbero essere il tessuto connettivo del grande
contenitore sognato dal presidente del Consiglio nonché segretario
nazionale. Liquidata come dialettica interna, la pratica alimentare
viene anzi agevolata dall’inerzia dei succedanei di se stesso messi
di guardia a un Pd che hanno scelto di assecondare in ogni sua
pulsione, senza neppure tentare una qualunque forma di gestione del
territorio.
In questi giorni spiccano un paio di vicende locali
che mostrano la costante tendenza al tutti contro tutti di un partito
invece raccontato come coeso, e sollevano dubbi sulla qualità di
quadri locali che dovrebbero essere l’avanguardia di una nuova
classe dirigente. A Bologna stanno andando in scena le prove tecniche
di 1999. Il nome di Giorgio Guazzaloca dovrebbe dire qualcosa ai vari
cuperliani, bersaniani, civatiani, renziani della prima, seconda ora
che si stanno accanendo sulle spoglie dell’attuale sindaco Virginio
Merola, incuranti del dettaglio che il succitato risulti ancora
vivente al momento in cui scriviamo, e intenzionato a ricandidarsi.
D’accordo, non è un fulmine di guerra, non ha grande visibilità.
Ma non risulta che si sia finora macchiato di nefandezze.
La sua
colpa principale forse è quella di appartenere a un Pd diviso e
litigioso come non mai, che gli sta conferendo l’aura del martire,
e pure gratis. Senza alcuna ragione apparente se non la lotta
intestina al Pd, a un anno dalle nuove elezioni ha dovuto subire
pubblici processi, apprendere che la sua sorte è legata a «verifiche
interne ed esterne», che deve passare per le primarie, che per il
futuro sarebbe meglio affidarsi a un Papa straniero, in questo caso
Ivano Dionigi, ex rettore dell’università, il quale però non ci
pensa neppure a passare per le primarie. La cottura a fuoco lento ha
già prodotto risultati eclatanti, come la nascita certa di una lista
a sinistra che tanto male ha già fatto al Pd in Liguria, e una
insofferenza diffusa. È lo stesso copione del fatidico 1999, quando
nauseati dalla guerra per bande interna ai Ds, i militanti restarono
a casa per dare un segnale, che arrivò forte e chiaro con la
vittoria di Guazzaloca, il «macellaio» montanelliano, primo e
finora unico a far cadere la roccaforte rossa per definizione.
La
storia non ha solo una certa tendenza a ripetersi, ma dovrebbe
insegnare qualcosa, compresa quella così recente da essere ancora
cronaca. Anche la Liguria doveva essere una fortezza democratica tale
da consentire ai vertici nazionali di interpretare al meglio il ruolo
di Ponzio Pilato davanti a un partito locale che il Vietnam era
Disneyland in confronto. Anche in Liguria il Pd ha cominciato a
litigare con almeno un anno di anticipo sui tempi, mentre il
centrodestra non aveva un candidato plausibile. Ma davanti al gentile
omaggio che gli stava proponendo la controparte, non ha potuto
esimersi dal trovarlo, e infatti ha vinto.
Il minimo che ci si
doveva aspettare da tutti i protagonisti della vicenda ligure,
incresciosa se vista con gli occhi di un sostenitore del
centrosinistra, era il capo cosparso di cenere. Ancora una volta è
arrivata invece l’ennesima dimostrazione di immaturità. Dirigenti
che vengono alle mani, accuse al ministro della Giustizia Andrea
Orlando di essere un fedele renziano a Roma e un infido cuperliano
nella sua La Spezia. La candidata sconfitta Raffaella Paita descrive
la fatal Genova come una sacca di socialismo reale e il segretario
provinciale le replica citando il voto contrario a lei come una prova
del fatto che gli elettori non sono arretrati, in quanto desiderosi
di vero cambiamento. Un nido di vespe. I vertici locali incerti tra
dimissioni, commissariamento, reggenza, hanno chiesto lumi al
vicesegretario Lorenzo Guerini, il quale ha risposto come fa sempre.
«Vedetevela voi». Renzi ha chiuso il suo intervento alla direzione
nazionale dicendo che il Pd unito come un sol uomo è chiamato a
«scrivere una storia meravigliosa». Ma sono sempre i margini che
finiscono per tenere insieme le pagine del libro.
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