Mario Calabresi
La Stampa 15 giugno 2015
Viviamo in un’epoca di
semplificazioni assolute, di esagerazioni dettate dalla pancia e di
tragica mancanza di buon senso. Un’epoca in cui manca la memoria ma
ancor più la razionalità, non si tiene più conto di numeri,
proporzioni e contesti. Non si capisce che la complessità non si
affronta e non si risolve con i proclami ma con un lavoro faticoso in
cui l’egoismo dei singoli (siano essi Stati, Regioni o Comuni)
rischia di essere letale.
Lo scorso anno sono arrivati dal mare
170 mila migranti (nei primi cinque mesi e mezzo del 2015 sono 56
mila) e questo ha avuto il potere di destabilizzare un’Unione
europea di ben 500 milioni di persone e di mettere in scena un vero e
proprio psicodramma. Significa che gli arrivi sono pari a uno ogni
3000 abitanti, ma ogni nazione si è chiusa a riccio, interpretando a
suo favore le regole e chiudendo a singhiozzo le frontiere.
Negli ultimi tre anni in Turchia,
nazione con 75 milioni di cittadini, i rifugiati arrivati dalla Siria
e dall’Iraq sono stati oltre due milioni: uno ogni 35 abitanti.
Duecentomila sono arrivati in pochi mesi solo dall’area di Kobane
per sfuggire all’offensiva dell’Isis. I turchi per gestire una
migrazione di queste proporzioni stanno spendendo 6 miliardi di
dollari l’anno a cui - ci racconta oggi l’ambasciatore di Ankara
in Italia - la comunità internazionale collabora con soli 400
milioni. Ma non è il solo esempio della nostra miopia: in Libano si
sono rifugiati 2 milioni di siriani, una cifra immensa e spaventosa
se si tiene conto che i libanesi sono solo 4 milioni. E’ come se da
noi italiani si scaricassero 30 milioni di rifugiati…
Tutto questo non diminuisce di certo il
disagio, i problemi e i rischi che gli italiani devono affrontare e
non ci rassicura, ma forse può aiutarci ad avere una visione più
oggettiva di quello che sta accadendo. Tutto questo dovrebbe invece
spingere tutti a mettere in atto politiche nuove che abbiano come
obiettivo quello di cercare di gestire i flussi e, per quanto
possibile, di rallentarli, agendo in Nord Africa, procedendo anche
con le espulsioni, garantendo sicurezza e legalità.
L’Europa ha cominciato a discutere un
piano di rimpatri per coloro che non hanno i requisiti per restare
come rifugiati ma latita nel definire quote di accoglienza. Se la
prima è una strada che andrà necessariamente percorsa, non può
però prescindere dalla realtà quotidiana degli sbarchi e della
necessaria accoglienza.
Ci preoccupiamo della sicurezza e delle
questioni igienico-sanitarie? Bene, allora non abbandoniamo la gente
in mezzo alla strada, sotto i ponti o nelle stazioni. È un discorso
che vale per i Paesi della Ue come per le regioni: lo scarica-barile
non migliora la situazione serve solo a fare propaganda politica.
E quei barconi che arrivano ogni giorno
non possono essere l’alibi per un racconto della realtà
completamente emotivo e slegato dalla verità. Quando si parla di
tassi di criminalità, di pirati della strada o di stazioni insicure
si fa bene a pretendere più severità e un maggiore controllo del
territorio, ma non raccontiamoci che prima vivevamo nel Paese delle
fate. Lo dicono le statistiche ma anche la memoria.
Le bande di stranieri che fanno le
rapine nelle case sono un’emergenza? Vanno affrontate con più
forze dell’ordine nelle nostre province, ma non fingiamo di non
ricordare anni di malavita italiana o la drammatica stagione dei
rapimenti. «Investono la gente ubriachi e drogati!». Guardate ai
fatti di cronaca, ai pirati della strada, e nella maggioranza dei
casi troverete rispettabili padri di famiglia italiani o i loro
figli. Chi ha ucciso un quindicenne a Monza a marzo e poi è scappato
non era un rom ma un quarantenne brianzolo con un’Audi.
«Sono pericolosi ed efferati!».
Olindo e Rosa non sono musulmani, Yara non pare sia stata uccisa da
un albanese e la cronaca quotidiana è piena zeppa di delinquenti
italiani. Le stazioni oggi ci fanno paura? Ce ne accorgiamo perché
sono luoghi più belli e puliti di quanto non lo fossero 10 o 20 anni
fa, con i negozi, i bar, i ristoranti e allora lo notiamo. A me la
Stazione Centrale di Milano o Roma Termini facevano molta più paura
vent’anni fa, piene di tossici e spacciatori.
Questi sono i problemi della nostra
epoca, migrazioni dovute a guerre, estremismo, miseria, fame e
cambiamenti climatici. Non possiamo pensare di arrenderci o
soccombere ma nemmeno di nascondere il problema o scaricarlo sul
vicino, bisogna avere il coraggio di essere adulti, chiamare tutti
alle responsabilità e chiamare le cose con il loro nome. Costruire
percorsi virtuosi (di accoglienza, studio, rispetto delle regole per
chi ha i requisiti) e insieme meccanismi di rimpatrio e di aiuto ai
Paesi da cui partono, ma evitare di voltare la testa dall’altra
parte regalando migliaia di disperati al lavoro nero e alla
criminalità organizzata.
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