David Sassoli
I partiti socialisti segnano il passo.
In Spagna meglio del previsto, ma in affanno e in ricorsa; in
Polonia, ai minimi storici. Altre debacle hanno coinvolto paesi di
antica tradizione. Le posizioni antieuropee avanzano in ordine sparso
e con spinte contraddittorie: per alcuni si tratta di prendere atto
del fallimento del progetto europeo; per altri, di reclamare un'altra
Europa dai contorni imprecisati. Di mezzo, un assetto istituzionale
pieno di falle che continua a produrre indecisioni, ritardi,
compromessi al ribasso. L'Europa deve cambiare. Ma per cambiare deve
ritrovare il senso di un percorso democratico, in cui il peso dei
governi non sia predominante, e in cui Parlamento europeo e
Commissione europea diventino l'architrave della democrazia europea.
Questa è la sfida per gli europeisti,
sempre in bilico fra difesa dello status quo e perenne ricerca di
leadership illuminate. Per rompere il fragile equilibrio servono veri
partiti europei. Quali altri strumenti possono consentire di
costruire reti di cittadini, collegare esperienze nazionali, definire
programmi? Senza partiti europei non sarà possibile concludere la
costruzione della democrazia europea. Certo, servono partiti molto
diversi da quelli attuali, oggi simili a cooperative da rispolverare
nelle buone occasioni. Per il Partito socialista europeo una
occasione per "cambiare verso" è rappresentata
dal prossimo congresso che si svolgerà a Budapest dall'11 al 13
giugno. Il dibattito non è fra i più entusiasmanti e l'assise
rischia di rivelarsi una conta fra i due pretendenti: il segretario
uscente, il bulgaro Stanishev e il veterano spagnolo Baron Crespo. La
loro campagna elettorale è in corso, condita da prese di posizione
contro la politica del rigore e contro la deriva populista. Sul tema
della "natura" del partito e della sua identità il
dibattito è sfumato. Per noi, democratici italiani, la necessità di
ripensare a questo contenitore, invece, è una priorità. A partire
dal cambiamento del nome, che può costituire una grande chance di
allargamento e apertura nei confronti di esperienze che non si
riconoscono nella tradizione socialista, ma hanno affinità e
prospettive comuni.
La questione della costruzione del
Partito dei socialisti e democratici europei é ineludibile. Il
recinto dei vecchi partiti, d'altronde, è ormai troppo piccolo
e angusto. Un buon esempio arriva proprio dal gruppo dei Socialisti &
Democratici all'europarlamento in cui sono confluite esperienze che
hanno saputo coniugare tradizioni diverse, ma indissolubilmente
legate da una prospettiva progressista. Cosa sarebbe oggi il gruppo
parlamentare senza la delegazione del Pd? Nella stessa direzione
procede anche l'attività del Progressive Alliance, in sostituzione
della vecchia Internazionale socialista.
Da Stanishev e Baron Crespo, che
si confronteranno a Strasburgo davanti al gruppo parlamentare
S&D, aspettiamo una parola chiara e un impegno inderogabile. Per
il Pd non si tratta di una battaglia nominalista, ma della capacità
del Pse di saper cogliere, come ha detto Matteo Renzi commentando le
elezioni in Spagna e Polonia, "il vento del cambiamento"
che tira forte in Europa. Non affrontare la questione o, peggio, far
finta di nulla, sarebbe rinunciare ad avere strumenti idonei per
costruire un sistema politico europeo più democratico e meno
condizionato da egoismi nazionali e convenienze governative. Il Pd,
primo partito del Pse alla sua prima prova congressuale, non può
rinunciare a dare voce ad una nuova prospettiva europeista. Il vento
populista, d'altronde, tira radente e potrebbe non aspettarci.
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