Corriere della Sera 20/06/15
Alessandro Capponi
Più che una «mappatura» dei circoli
sembra la diagnosi di un male terribile, chissà se curabile: il Pd
di Roma, per Fabrizio Barca, che con il suo staff l’ha esaminato
nella quasi totalità dei 110 circoli, «finisce per essere un
partito mai nato». Con ventisette «sezioni dannose» da
classificare in modo inequivocabile: «Il potere per il potere». Ce
ne sono altre tredici segnate con segno «meno», accusate nella
migliore delle ipotesi di inerzia. Quindi «quaranta circoli —
spiega Barca — con una situazione o una tendenza all’infeudamento».
Gestiti da capibastone (come Mirko Coratti e Daniele Ozzimo, finiti
agli arresti nella seconda ondata di Mafia Capitale, o Marco Di
Stefano, anche lui nelle carte di varie inchieste) che li
utilizzavano per fare tessere, per «contare». Senza traccia, o
quasi, di attività politica. Anche perché il 40 per cento degli
iscritti «non frequenta mai la sede». E la media complessiva degli
«incontri pubblici» è di 10 all’anno, neanche uno al mese. Un
partito guidato quasi esclusivamente da uomini: ogni quattro
«coordinatori» c’è una «coordinatrice». Venticinque circoli,
poi, sono «privi di sede»; il 36 per cento «ha in corso un
contenzioso con la proprietà».
I dati di Barca in qualche modo
coincidono con quelli di Matteo Orfini: tra il venti e il trenta per
cento di iscritti «fantasma». «Da lunedì via alle chiusure e ai
commissariamenti», promette lo stesso Orfini. Di certo, però, il
lavoro di Barca fotografa un passato recente e cupo: nella stagione
2012-2013, che porta al congresso, c’è l’ exploit di iscrizioni,
con una crescita del 39,6 per cento; l’anno seguente ecco quello
che Barca chiama «un disamore improvviso»: le iscrizioni calano del
40 per cento. Per Barca «nel 2013 sono stati 32 i circoli che hanno
avuto un aumento di iscrizioni superiore alla media». Inspiegabile,
forse, anche alla luce dell’attività svolta: le sedi sono aperte,
in media, 11,5 ore a settimana, appena sei in quelle «dannose».
Nel suo lavoro, Barca analizza anche la storia del Pd: «Nel 2006 un
nuovo snodo. Le elezioni comunali diventano un test per l’investitura
di Walter Veltroni a leader politico nazionale, in vista della messa
in opera del progetto del Pd. Raccoglie il 61 per cento dei consensi,
quasi un milione di voti, ma nella forza di questo risultato di
valenza nazionale è insita una debolezza grave per il sistema
politico locale: la ricerca di consenso avvalora una logica di
trasformismo e trasversalità che sbiadiscono definitivamente il
riformismo romano e l’autonomia della politica dall’economia
cittadina». È così che «invece di un modello virtuoso», il Pd di
Roma finisce per essere «un partito mai nato». Perché, già nel
2007, è «espressione di divisione correntizia: due correnti Ds, due
della Margherita, una per le liste civiche (dentro un pulviscolo di
grumi di consenso personale)». E ancora: «Mostra di non sapersi
rigenerare, come prova la scelta di candidato sindaco nel 2008»,
cioè Francesco Rutelli. È lo stesso Rutelli, oggi, a dire: «Se
solo trovassi un circolo del partito dove iscrivermi potrei pensare
di tornare. Ma li hanno tutti chiusi».
Barca non si nasconde
neanche dalle responsabilità del Pd in Mafia Capitale: certo il
sodalizio criminale trova terreno fertile con l’amministrazione di
Gianni Alemanno ma «il Pd deve farsi carico di una degenerazione nel
rapporto con cooperative, consorzi di auto-recupero e aziende
cresciute negli ultimi anni al fianco delle amministrazioni di
centrosinistra. Ciò è collegato al decadimento della vita interna
al partito, i cui equilibri non si formano più sulla dialettica
politica ma su rapporti di potere che abusano degli strumenti
essenziali della partecipazione democratica, come il tesseramento e
le primarie». Certo, ci sono anche elementi di speranza nella
mappatura: «Potenzialità positive in 44 circoli». Poi c’è una
fascia intermedia, con «17 circoli inattivi e 25 identitari che
producono iniziativa politica ma non rappresentano gli interessi dei
cittadini».
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