La Repubblica 21 giugno 2015
Ecco la fotografia del sistema
previdenziale ellenico al centro del confronto tra la Grecia e i
creditori
Il futuro dell’euro è in mano a una
banda di 2,65 milioni di arzilli vecchietti (alcuni, a dire il vero,
nemmeno troppo vecchietti): l’esercito dei pensionati greci,
diventato in queste ore la linea del Piave su cui si è bloccato il
negoziato tra Atene e la Troika. “Costano troppo! Tsipras deve
tagliare i loro assegni previdenziali di almeno 1,8 miliardi”
dicono da settimane Ue, Bce, Fmi. “Richieste assurde — ribatte il
premier — . Le abbiamo già ridotte oltre i limiti. Un esempio? Il
45% dei pensionati ellenici prende meno di 655 euro al mese, il
livello della soglia di povertà”.
Chi ha ragione? Dipende da che parte si
guardano i numeri. Dafne Grigoropoulos, 67 anni ben portati,
snocciola i suoi. “Ho fatto l’insegnante di scuola elementare per
38 anni. Sono andata in pensione a 58 anni con 1.300 euro al mese —
calcola cullando il nipote nel parco dello Zappeion — . Oggi ne
prendo 1.050. E mi va ancora bene rispetto a molti”. Con il suo
assegno ci campano lei, rimasta vedova, la figlia 38enne disoccupata
dal 2012 (“ha perso il sussidio dopo un anno, è andata a cercare
lavoro per l’estate a Santorini”) e il piccolo Emmanuel.
Tutt’altro che un caso isolato. Il 49% delle famiglie elleniche,
calcola uno studio della Confindustria locale, vive solo di un
reddito previdenziale.
“Nessuno vuole
toccare chi prende il minimo — ha garantito due giorni fa Juncker —
ma la Grecia spende 28 miliardi l’anno in pensioni, il 16% del
Pil”. Nel 2009, quando è scoppiata la crisi, nel paese c’erano
130 differenti fondi pensione e 580 professioni usuranti tra cui i
presentatori tv, a rischio per l’accumulo di flora batterica nei
microfoni. Atene, a voler guardare, ha già fatto i compiti a casa:
il numero dei fondi è stato ridotto a 13. Un censimento nel 2012 ha
portato alla scoperta di 90mila truffatori che ritiravano l’assegno
di parenti morti da anni e di 350mila posizioni irregolari. I diktat
di Ue, Bce e Fmi hanno ridotto da 14 a 12 le mensilità e le entrate
medie sono oggi di 713 euro a testa al mese. “La spiegazione del
rapporto tra spesa e Pil è semplice — ha scritto ieri su Der
Spiegel Tsipras per spiegare le sue ragioni ai tedeschi — . Noi
abbiamo tagliato le pensioni, ma l’austerity ha fatto crollare il
Pil del 25% in cinque anni distorcendo i dati. Da noi, per dire, si
lascia il lavoro a 67 anni, due anni più tardi dei tedeschi”.
Peccato non sia vero. Certo, la Troika
ha imposto una legge che sposta ai 67 anni l’età in cui si può
lasciare il lavoro. Nella pratica le vie di fuga restano però tante.
Fofi Gennimata, neo presidente del Pasok, ex impiegata di banca con
tre figli, ha ritirato il suo primo assegno previdenziale lo scorso
anno a 51 anni. Oggi, diventata parlamentare, l’ha sospeso. L’età
media in cui si va in pensione nel pubblico è di 56,7 anni,
destinati a diventare 60 solo nel 2022, con buona pace di Tsipras. E
dal 2009 le richieste di ritiro anticipato sono salite del 48%.
“Il problema è
con questi soldi campano intere famiglie”, dice Dafne. La
disoccupazione giovanile è al 50%, quella tra gli ultra 55enni è
balzata dal 6% del 2009 al 20%. “E con una cifra sempre più magra
vivono sempre più persone”, conferma Iannis Angelopoulos, 62 anni
e 594 euro di stipendio al mese (“200 se ne vanno in affitto”).
Il paradosso è servito. I pensionati
greci sono tra i più poveri d’Europa ma pure i più costosi. E il
tiro alla fune continua: Tsipras da una parte, la Troika dall’altra,
e l’euro in mezzo.
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