ORIANA LISO
La Repubblica 4 giugno 2015
Giuliano Pisapia Il sindaco di Milano:
“Proseguire con le divisioni sarebbe suicida. Governare vuol dire
anche cercare soluzioni comuni, se però non arrivano è giusto che
decida la maggioranza”
«Per costruire una coalizione coesa e
di governo serve un ponte tra sinistra e Pd: è un lavoro non più
rinviabile. Prima o poi ci saranno le elezioni politiche, presentarsi
divisi sarebbe un suicidio. Per questo credo sia importante e utile a
tutti che la sinistra del Pd non parli con voci diverse e
interloquisca positivamente con la sinistra responsabile e di
governo, non solo in parlamento, ma anche nel Paese. È con questo
metodo che in centinaia di Comuni in il centrosinistra è maggioranza
e dimostra di saper governare bene».
Sindaco Giuliano Pisapia, chi sono i
vincitori e i vinti di queste elezioni?
«Per una parte dell’elettorato,
anche di centrosinistra, ha contato certamente lo spirito di rivalsa
nei confronti di Renzi. Hanno perso tutti: il Pd oltre 2 milioni di
voti rispetto al 2014, il Movimento 5 Stelle ha preso circa il 60 per
cento dei voti in meno rispetto alle Politiche. Le liste di sinistra
che non si sono presentate all’interno della coalizione di
centrosinistra hanno avuto risultati ben al di sotto delle
aspettative. L’unica vera vincitrice è la Lega, ma ha
cannibalizzato Forza Italia e quindi non ha portato alcun valore
aggiunto al centrodestra. Il dato più preoccupante, per tutti, è
quello dell’astensionismo ».
L’onda renziana si è infranta sugli scogli della Liguria?
«In Liguria hanno sbagliato in molti.
Sia chi ha insistito su un candidato divisivo, convinto che si può
vincere e governare da soli, sia chi, dopo la sconfitta alle
primarie, è uscito dal partito - ma non dall’europarlamento –
ritenendo che il Pd fosse il nemico da sconfiggere, regalando così
la regione alla destra. Neppure De Gasperi governò da solo: politica
è anche la fatica del dialogo per trovare soluzioni condivise e
quindi più realizzabili. Trovare un accordo nel proprio schieramento
sui problemi da risolvere rende più forti, non più deboli».
Il 7-0 non c’è stato, e neanche il
6-1. Colpa degli “impresentabili”? Oppure gli elettori hanno
punito il governo per le sue politiche?
«Difficile dire cosa abbia pesato di
più. Certo, la riforma della scuola ha portato ad una vera e propria
ribellione sul merito e sul metodo dei lavori parlamentari. Bastava
un maggiore dialogo e un confronto costruttivo per arrivare a
soluzioni condivise ed evitare la guerriglia contro il presidente del
Consiglio. Sono convinto che poche e ragionevoli modifiche avrebbero
evitato un così forte astensionismo e un voto “contro”, anziché
“per”».
Per anni il nemico è stato Silvio
Berlusconi. Ora è la Lega?
«Berlusconi aveva un’egemonia tale
per cui ogni sua decisione era insindacabile, Non è più così, si è
visto. Ora dovranno trovare il modo di far emergere persone di
valore: non credo che il centrodestra, se non vuole perdere il voto
di tanti suoi elettori possa consegnarsi interamente alla Lega».
Una Lega che ha vinto al grido di
“ruspa, ruspa”, i 5 Stelle con gli slogan anticasta: il populismo
è ancora vivo?
«Populismo e demagogia sono ancora
vivi. Mi pare che i 5 Stelle stiano facendo passi avanti: forse
cominciano a capire che criticare è facile, ma governare è
difficile, soprattutto in un periodo di crisi. La Lega cerca, invece,
di far dimenticare la sua corresponsabilità, nei lunghi anni in cui
ha governato, nell’aver portato il Paese a un passo dal default.
Cavalca tutte le situazioni più complesse e delicate senza mai
proporre soluzioni praticabili. Un consenso facile ma che non ha, e
non può avere, l’appoggio dei moderati, neppure di chi in passato
ha votato centrodestra».
Milano voterà fra un anno. Quali insegnamenti arrivano dal voto di
domenica?
«A Milano è forte il senso
dell’unità, pur in presenza di sensibilità diverse, che per me
sono una ricchezza: è naturale e positivo che ci siano momenti di
confronti e anche di scontro, ma poi bisogna avere il coraggio e la
forza di decidere. E, in democrazia, quando non c’è condivisione,
non possono che prevalere le scelte della maggioranza. La sinistra
deve smetterla di parlare con cinque voci diverse, bisogna
interloquire, ma con paletti e conseguenze certe per chi non si
attiene a quelle regole. Solo insieme il centrosinistra vince sia a
livello locale che a livello nazionale ».
Passando per le primarie? Sono
indispensabili?
«Indispensabili no, utili sì. A
Milano, cinque anni, fa furono importantissime, questa volta credo
saranno necessarie perché potrebbero esserci più candidati.
L’importante è che, dopo, l’impegno sia totale e da parte di
tutti. Chi conosce Milano è ben consapevole che il candidato sindaco
del centrosinistra non potrà che essere scelto dai milanesi e di
questo è convinta tutta la coalizione ».
Chi vincerà le primarie potrà
trovarsi di fronte Matteo Salvini.
«Non credo si candiderà, anche perché
per Forza Italia sarebbe uno smacco cedere alla Lega, oltre al
presidente della Regione, anche il sindaco di Milano, diventerebbe un
partito senza futuro. Fare il sindaco è un mestiere bellissimo, ma
anche difficilissimo, soprattutto in un periodo di continui tagli
agli enti locali: è più facile cambiare la felpa tra un
trasmissione e l’altra che risolvere i tanti problemi quotidiani ».
Lei non ci ripenserà?
Il 2 giugno
tantissimi milanesi, in visita a Palazzo Marino, glielo hanno
chiesto.
«È stato commovente, ma a tutti ho
risposto: ora tocca a voi».
Cosa farà allora?
«Adesso sono impegnato solo su Milano.
A fine mandato, senza un ruolo istituzionale, vorrei contribuire, con
l’esperienza di questi anni, a costruire quel ponte nel
centrosinistra».
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