Corriere della Sera 08/06/15
Marco Galluzzo
Alla ricerca di una distensione
duratura, e dell’unità di un partito che resta necessaria per
continuare a governare, stasera Matteo Renzi proporrà in sostanza un
patto alla minoranza dei democratici: io vi assicuro che non si va a
votare prima del 2018, e dunque che la classe dirigente e
parlamentare del partito non subirà scossoni prima di quella data,
voi sostenete l’esecutivo in modo leale. Se lo schema è questo,
anche se magari non sarà esplicitato in questo modo, ovviamente la
parola distensione, per quanto corretta, come racconta chi ha parlato
con il presidente del Consiglio nelle ultime ore, è comunque da
trattare con le pinze, visto che il leader del Pd non ha mai avuto
peli sulla lingua: stasera Renzi certamente non le manderà a dire a
quella parte del suo partito che a suo giudizio «ha fatto del male»
al governo e alla maggioranza «e alla nostra comunità», che ha
remato contro soltanto per «colpire il sottoscritto».
È quella
stessa parte del partito che alla Camera non ha votato né la fiducia
sull’Italicum né la riforma della scuola e che al Senato ha i
numeri per fare ballare il governo: per questo Renzi ancora due
giorni fa ha concesso più tempo sulla scuola, si è detto pronto ad
accogliere le riserve e le obiezioni che il governo troverà
convergenti con i suoi interessi, con l’impianto strutturale della
riforma, che a giudizio di Renzi non può essere snaturata ma
certamente corretta e migliorata. Insomma ramoscelli d’ulivo e
tentativi di mettere da parte, lasciarsi alle spalle, sia il caso
Liguria, sia l’altissima conflittualità parlamentare degli ultimi
mesi: Renzi non ha bisogno di un nuovo strappo, la minoranza dem —
almeno nella sua componente maggioritaria — non ha intenzione di
fare un passo ulteriore verso la rottura del rapporto che la lega
all’azione riformatrice del governo. Anche quella componente
bersaniana che si è distinta alla Camera, che per il premier è in
parte «irrecuperabile», ma che difficilmente vorrà arrivare allo
show down quando un’altra fiducia verrà posta dal governo e il
bivio sarà di natura diversa dal passato, includendo questa volta
anche l’ipotesi di una crisi di governo.
Anche per questo,
prima di volare in Germania, nei colloqui con i dirigenti del
partito, Renzi ha chiesto di decelerare sul progetto di riforma dello
Statuto interno: una commissione è al lavoro, l’obiettivo è
quello di cambiare in modo profondo le regole interne di democrazia e
di decisione, costringendo per il futuro tutto il partito a un
rapporto di maggiore lealtà, innanzitutto parlamentare, con le
decisioni che vengono prese dagli organi dirigenti. Un progetto a cui
Renzi tiene tantissimo e che giudica imprescindibile per
«modernizzare» il partito, legarlo ai tempi e alle regole di una
società che è cambiata e che va governata, anche dai partiti, in
modo diverso dal passato.
Si cambieranno le regole insomma, ma
senza fretta, magari nel 2016, visto che per il momento la priorità
del premier è mettere a tacere le fibrillazioni parlamentari e
quella della minoranza dem è ricevere garanzie che la legislatura
arriverà sino alla fine. Due interessi in qualche modo convergenti.
Al netto delle parole che stasera, nell’intervento del premier, e
nelle repliche, verranno spese da entrambe le parti.
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