Barbara Ciolli
Lo strappo di Rohani con i Pasdaran apre una stagione nuova
Barbara Ciolli
Nel 2008, alla sua prima campagna elettorale, Barack Obama
dichiarò che, per la pace, sarebbe stato disposto a trattare anche
con il suo peggior nemico. Il Presidente americano è stato di
parola, anche se per mantenere la promessa ha dovuto aspettare un
lustro e un interlocutore, all'apparenza, 'più buono'.
«Davvero sono diverso da Mahmoud Ahmadinejad?», ha ironizzato un po' caustico il neo Presidente iraniano Hassan Rohani, dopo aver dichiarato, nella settimana trascorsa all'Onu, che i «nazisti hanno commesso crimini riprovevoli contro gli ebrei».
Nel discorso finale a Palazzo di Vetro, Rohani ha anche annunciato un «primo piano sul nucleare», nel prossimo incontro della delegazione iraniana con i Paesi del Gruppo 5 + 1 (i membri del Consiglio di sicurezza Usa, Francia, Regno Unito, Russia, Cina più la Germania), il 15 e il 16 ottobre a Ginevra.
Sulla via dell'aeroporto, Obama gli avrebbe poi telefonato, augurandogli buon viaggio («Khodahafez», «Dio sia il tuo custode» in farsi) di ritorno: un gesto più discreto della stretta di mano mancata tra i due, per l'indisposizione di Teheran a un incontro ancora prematuro, e tuttavia forse più personale.
Ricambiato con gratitudine da Rohani che ha twittato sulla sua «storica telefonata con Barack Obama», la prima con un Presidente americano dal 1979.
«Davvero sono diverso da Mahmoud Ahmadinejad?», ha ironizzato un po' caustico il neo Presidente iraniano Hassan Rohani, dopo aver dichiarato, nella settimana trascorsa all'Onu, che i «nazisti hanno commesso crimini riprovevoli contro gli ebrei».
Nel discorso finale a Palazzo di Vetro, Rohani ha anche annunciato un «primo piano sul nucleare», nel prossimo incontro della delegazione iraniana con i Paesi del Gruppo 5 + 1 (i membri del Consiglio di sicurezza Usa, Francia, Regno Unito, Russia, Cina più la Germania), il 15 e il 16 ottobre a Ginevra.
Sulla via dell'aeroporto, Obama gli avrebbe poi telefonato, augurandogli buon viaggio («Khodahafez», «Dio sia il tuo custode» in farsi) di ritorno: un gesto più discreto della stretta di mano mancata tra i due, per l'indisposizione di Teheran a un incontro ancora prematuro, e tuttavia forse più personale.
Ricambiato con gratitudine da Rohani che ha twittato sulla sua «storica telefonata con Barack Obama», la prima con un Presidente americano dal 1979.
Atterrato in patria, il Presidente iraniano è stato accolto
dall'ala tradizionalista come lo scià Mohammad
Reza Pahalavi -fedele alleato degli Usa- dopo la sua ultima
telefonata alla Casa Bianca. Appunto, prima della sua fuga
dal Paese 34 anni fa.
La festa dei supporter di Rohani è stata rovinata da un gruppuscolo di basiji (i paramilitari alle dipendenze dei Pasdaran), che all'aeroporto di Teheran gridavano «morte all'America», «guai alle sciagure dell'epoca riformista», lanciando uova e scarpe contro il successore di Ahmadinejad.
Il giorno dopo sarebbe piovuto anche l'anatema del Generale Mohammad Ali Jafari, a capo dei Guardiani della Rivoluzione (in farsi, Pasdaran), corpo militare d'élite vicino alla Guida suprema Ali Khamenei, che ha sentenziato: «Come si è rifiutato di incontrare Obama, il Presidente si sarebbe anche dovuto rifiutare di parlargli al telefono e attendere atti concreti dal Governo americano».
Ahmadinejad, ex basiji candidato nel 2005 per frenaree la stagione di riforme del Presidente uscente Mohammad Khatami, rappresentava i principalisti conservatori che ora protestano per le aperture. Ma che pure, grazie all'appoggio a Rohani, in parte hanno contribuito al risultato delle ultime elezioni.
La festa dei supporter di Rohani è stata rovinata da un gruppuscolo di basiji (i paramilitari alle dipendenze dei Pasdaran), che all'aeroporto di Teheran gridavano «morte all'America», «guai alle sciagure dell'epoca riformista», lanciando uova e scarpe contro il successore di Ahmadinejad.
Il giorno dopo sarebbe piovuto anche l'anatema del Generale Mohammad Ali Jafari, a capo dei Guardiani della Rivoluzione (in farsi, Pasdaran), corpo militare d'élite vicino alla Guida suprema Ali Khamenei, che ha sentenziato: «Come si è rifiutato di incontrare Obama, il Presidente si sarebbe anche dovuto rifiutare di parlargli al telefono e attendere atti concreti dal Governo americano».
Ahmadinejad, ex basiji candidato nel 2005 per frenaree la stagione di riforme del Presidente uscente Mohammad Khatami, rappresentava i principalisti conservatori che ora protestano per le aperture. Ma che pure, grazie all'appoggio a Rohani, in parte hanno contribuito al risultato delle ultime elezioni.
Alla vigilia dell'Assemblea generale dell'Onu, in un commento
pubblicato dal quotidiano
inglese 'The Guardian', lo stesso Khatami ha ricordato
come il voto del 2013 non sia «stato limitato a un specifico
campo politico. Alla vittoria di Rohani hanno contribuito molti
riformisti, svariati prigionieri politici e una parte significativa
dei conservatori». «Un consenso nazionale che va al di là
delle fazioni partigiane, con un'enfasi al dialogo e alla mutua
comprensione globali», ha scritto quello che è considerato
come il primo Presidente riformista dell'Iran, «per l'Occidente
un'opportunità unica da cogliere, per cambiare lo status
quo».
L'impressione è che, nello slancio di Rohani e del suo Ministro agli Esteri Mohammad Javad Zarif per accelerare la ripresa dei negoziati sbloccando le sanzioni, durante la visita negli Usa si sia consumato uno strappo tra il Governo e l'ala intransigente dei Pasdaran.
La spaccatura tra la corrente riformista e conservatrice del regime è emersa chiaramente dopo l'intervista rilasciata da Rohani alla 'Cnn', che, per l'agenzia 'Fars' vicina ai Guardiani della rivoluzione, avrebbe alterato la traduzione dal farsi del colloquio con la corrispondente iraniano-britannica Christiane Amanpour (madrelingua farsi e inglese), forzando le dichiarazioni di condanna sullo sterminio degli ebrei e inserendo ad arte la parola «Olocausto».
L'impressione è che, nello slancio di Rohani e del suo Ministro agli Esteri Mohammad Javad Zarif per accelerare la ripresa dei negoziati sbloccando le sanzioni, durante la visita negli Usa si sia consumato uno strappo tra il Governo e l'ala intransigente dei Pasdaran.
La spaccatura tra la corrente riformista e conservatrice del regime è emersa chiaramente dopo l'intervista rilasciata da Rohani alla 'Cnn', che, per l'agenzia 'Fars' vicina ai Guardiani della rivoluzione, avrebbe alterato la traduzione dal farsi del colloquio con la corrispondente iraniano-britannica Christiane Amanpour (madrelingua farsi e inglese), forzando le dichiarazioni di condanna sullo sterminio degli ebrei e inserendo ad arte la parola «Olocausto».
Di tutta risposta, poche ore dopo il Presidente iraniano ha
ribadito pubblicamente che «i nazisti hanno commesso un massacro
che non può essere negato, soprattutto contro il popolo ebraico».
Da Washington, sul 'Global Post' l'iranologo Alex Vatanka ha spiegato che, semplicemente, la guerra delle parole sulla pronuncia o meno di Rohani di «Olocausto» non ha ragion d'essere, perché «in farsi non esiste una parola per Olocausto». Nella sua ossessione antisemita, Ahmadinejad era costretto a «mutuare il vocabolo “Holocaust” dall'inglese, il linguaggio del Grande Satana».
A ben guardare, lo scontro con i deputati del Majles, il Parlamento iraniano, vicini ai Pasdaran era iniziato prima della partenza per New York, quando Rohani - nel Consiglio supremo di Difesa ai tempi della guerra con l'Iraq e per 16 anni, primo e storico Segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale - aveva invitato i militari a fare il loro lavoro, «tenendosi fuori dalla politica».
Mettere le mani avanti era un passo quasi scontato, per chi tenta di ricostruirsi una verginità, per convincere la comunità internazionale che la «soluzione del nucleare deve essere politica, non militare».
Stupisce però che, a Teheran, le reazioni dei massimi gradi dell'apparato sull'offensiva negli Usa di Rohani siano state così veementi: un fatto inedito per la teocrazia iraniana. Che, anziché disordini di piazza, fa presagire un regolamento di conti interno.
Da Washington, sul 'Global Post' l'iranologo Alex Vatanka ha spiegato che, semplicemente, la guerra delle parole sulla pronuncia o meno di Rohani di «Olocausto» non ha ragion d'essere, perché «in farsi non esiste una parola per Olocausto». Nella sua ossessione antisemita, Ahmadinejad era costretto a «mutuare il vocabolo “Holocaust” dall'inglese, il linguaggio del Grande Satana».
A ben guardare, lo scontro con i deputati del Majles, il Parlamento iraniano, vicini ai Pasdaran era iniziato prima della partenza per New York, quando Rohani - nel Consiglio supremo di Difesa ai tempi della guerra con l'Iraq e per 16 anni, primo e storico Segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale - aveva invitato i militari a fare il loro lavoro, «tenendosi fuori dalla politica».
Mettere le mani avanti era un passo quasi scontato, per chi tenta di ricostruirsi una verginità, per convincere la comunità internazionale che la «soluzione del nucleare deve essere politica, non militare».
Stupisce però che, a Teheran, le reazioni dei massimi gradi dell'apparato sull'offensiva negli Usa di Rohani siano state così veementi: un fatto inedito per la teocrazia iraniana. Che, anziché disordini di piazza, fa presagire un regolamento di conti interno.
Negli ultimi anni, i rapporti tra l'Ayatollah Khamenei (di
cui Rohani è stato stretto consigliere), e Ahmadinejad erano
diventati pessimi. "Con l'ammissione di Rohani,
appoggiato anche dal due volte ex Presidente Hashemi Rafsanjani, al
voto, la Guida Suprema ha confermato la sua volontà di estromettere
Ahmadinejad, un Presidente rivelatosi inaffidabile ed eretico",
ci ha spiegato lo storico Abbas Milani, direttore
degli Studi iraniani alla Stanford University.
«Ogni differenza che vedete in me rispetto a chi mi ha preceduto è quella che ha voluto il popolo iraniano», ha dichiarato il nuovo Presidente alla platea Onu, ribadendo di aver ricevuto il pieno mandato a trattare dalla Guida Suprema.
Rohani si è riparato sotto l'ombrello dell'«eroica flessibilità», proclamata da Khamenei nel suo discorso del 17 settembre 2013 all'Assemblea generale dei Guardiani della rivoluzione. Un'analogia con l'arte marziale del wrestling, che il'Iran Politik' ha ricostruito essere stata tratta dal libro dello sceicco Razi Al e Yasin (1869-1953) 'La pace dell'imam Hassan, la flessibilità eroica più splendida della storia', tradotto da Khamenei in farsi nel 1970.
La dottrina della nuova stagione contrasta però con la «resistenza eroica» voluta dalla medesima Guida suprema per la precedente era Ahmadinejad. Inoltre, esploso lo scontro con i Pasdaran dei quali è comandante, Khamenei ha taciuto adottando un enigmatico low profile.
«Ogni differenza che vedete in me rispetto a chi mi ha preceduto è quella che ha voluto il popolo iraniano», ha dichiarato il nuovo Presidente alla platea Onu, ribadendo di aver ricevuto il pieno mandato a trattare dalla Guida Suprema.
Rohani si è riparato sotto l'ombrello dell'«eroica flessibilità», proclamata da Khamenei nel suo discorso del 17 settembre 2013 all'Assemblea generale dei Guardiani della rivoluzione. Un'analogia con l'arte marziale del wrestling, che il'Iran Politik' ha ricostruito essere stata tratta dal libro dello sceicco Razi Al e Yasin (1869-1953) 'La pace dell'imam Hassan, la flessibilità eroica più splendida della storia', tradotto da Khamenei in farsi nel 1970.
La dottrina della nuova stagione contrasta però con la «resistenza eroica» voluta dalla medesima Guida suprema per la precedente era Ahmadinejad. Inoltre, esploso lo scontro con i Pasdaran dei quali è comandante, Khamenei ha taciuto adottando un enigmatico low profile.
Tutta da chiarire è anche la dinamica che, il 27 settembre, ha
portato alla telefonata di Obama con Rohani. A caldo, fonti vicine al
Presidente iraniano hanno descritto la chiamata come del «tutto
inattesa». Poi sull'agenzia di Stato 'Irna' si sono
susseguiti i lanci che, quasi in segno di giustificazione, hanno
spiegato come «l'idea di telefonare sia stata della Casa
Bianca», che per almeno «cinque o sei volte» ha
contattato il Governo di Teheran.
«In nessun modo» ha rapportato il vice Ministro degli Esteri Hassan Ghashghavi ai membri della Commissione parlamentare della Sicurezza nazionale e della Polizia, «il Presidente avrebbe fatto la conversazione senza autorizzazione».
Un giallo nel giallo è infine la ridda di tweet postati da Rohani subito dopo la chiamata, rivelatori del contenuto del breve colloquio tra sul nucleare tra i due. Ma poi cancellati dall'account, anche se conservati dai media americani.
Stranezze che - nonostante il fuoco di fila atteso del Premier israeliano Benjamin Netanyahu all'Onu contro Teheran - con tutte le cautele del caso, fanno ben sperare gli Usa sull'effetto Rohani.
«In nessun modo» ha rapportato il vice Ministro degli Esteri Hassan Ghashghavi ai membri della Commissione parlamentare della Sicurezza nazionale e della Polizia, «il Presidente avrebbe fatto la conversazione senza autorizzazione».
Un giallo nel giallo è infine la ridda di tweet postati da Rohani subito dopo la chiamata, rivelatori del contenuto del breve colloquio tra sul nucleare tra i due. Ma poi cancellati dall'account, anche se conservati dai media americani.
Stranezze che - nonostante il fuoco di fila atteso del Premier israeliano Benjamin Netanyahu all'Onu contro Teheran - con tutte le cautele del caso, fanno ben sperare gli Usa sull'effetto Rohani.
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