venerdì 29 gennaio 2016

Il Family day non è il modo migliore per mettersi nella stessa lunghezza d’onda di Papa Francesco”.


Intervista a Massimo Faggioli di Pierluigi Mele
dal blog Confini
29 gennaio 2016
Professor Faggioli, domani il forum delle famiglie organizza il cosiddetto “Family Day” per riaffermare i valori della famiglia tradizionale contro il ddl sulle Unioni Civili. Nel Paese è in corso una discussione con diverse prese di posizione trasversali. Anche la Chiesa cattolica, attraverso i suoi pastori, ha preso una posizione. Vede novità, rispetto al 2007, nelle gerarchie cattoliche e nel laicato cattolico? 
La novità maggiore è che c’è papa Francesco e quindi quella compattezza fittizia sulle parole d’ordine che c’era nel 2007 oggi non esiste più: molti veli sono caduti nella chiesa italiana come in quella globale. I vescovi sono alle prese oggi con una difficile transizione dall’unanimismo del trentennio precedente a una nuova era, quella di Francesco, in cui le questioni di morale sessuale non sono più l’elemento dirimente nel linguaggio del magistero pontificio. Questo provoca delle tensioni interne all’episcopato, che si vedono anche dalle parole caute di Bagnasco circa il “Family Day”, più caute rispetto al 2007. Ma anche tra il laicato cattolico vi sono posizioni molto diverse che sono oggi evidenti: il sostegno da parte dei movimenti cattolici al “Family Day” è minore rispetto al 2007, e a loro volta i movimenti sanno che devono ricostruire il loro rapporto con un papa che è diverso dai due predecessori sulla ecclesiologia. È chiaro che il “Family Day” non è percepito come il modo migliore per mettersi sulla stessa lunghezza d’onda di papa Francesco, che nei discorsi ai movimenti li ha esortati chiaramente a non rinchiudersi in una idea limitata di chiesa e di mondo.
Parliamo di Papa Francesco. Alcuni laici sono rimasti delusi dalle sue affermazioni, fatte durante l’udienza ai giudici della Sacra Rota, sulle unioni diverse dal matrimonio. Per altri come Antonio Socci, critico feroce di Bergoglio, si è trattato quasi di un “miracolo”. Secondo lei queste affermazioni di Papa Francesco devono essere prese come un appoggio alla manifestazione di sabato? Oppure sono parole che sono state strumentalizzate?
Papa Francesco è conscio più di altri del tentativo di manipolare o strumentalizzare le sue parole. Ha parlato di matrimonio con le sfumature giuste, dicendo che gli altri tipi di unioni sono una cosa diversa. Non ha parlato di valori non negoziabili, né della manifestazione di sabato. E se anche avesse parlato del “Family Day”, questo sarebbe stato comunque molto diverso dal fare appello ai parlamentari cattolici a votare secondo le indicazioni del magistero della chiesa – cosa che abbiamo visto nel recente passato in Italia. Francesco non crede nello scontro tra culture. Il problema è che alcuni dirigenti del cattolicesimo italiano (laici e chierici) sembrano credere al ricorso alle piazze e non avere più opzioni alternative allo strumento della piazza – che peraltro non ha servito bene la chiesa nel decennio passato.
Una parola sui cattolici del PD. Vede dei limiti nella loro azione?
La stessa espressione “cattolici del PD” evidenzia che c’è un problema di collocazione politica di una cultura, quella del cattolicesimo politico, che si è impoverita all’interno del PD ma anche nel paese in generale e in tutta Europa – e la crisi del cattolicesimo politico in Europa è parte della crisi dell’Unione Europea. Si tratta di una questione tanto di contenuti (come la questione dei corpi intermedi e della Costituzione) quanto di stile (imbarcare dentro il PD personaggi che non hanno nulla a che fare con le culture che hanno fondato quel partito). Il PD (e il governo) abbondano di cattolici, ma il loro linguaggio, azione, stile, rete di rapporti sociali e culturali è totalmente diverso da quello della generazione precedente – tanto che si fa fatica a vedere delle continuità tra le due generazioni. È un cattolicesimo che pare essere privo di una sua cultura teologica e spirituale, priva di testimoni e di testi di riferimento. Al confronto della nuova generazione giovane di cattolici del PD, un politico cattolico liberal come il vicepresidente americano Joe Biden sembra quasi una specie di De Gasperi.
Siamo in una fase storica del rapporto “Chiesa – politica”, come lei dice, nuova rispetto al 2007. Una fase caratterizzata dalla fine del “ruinismo” e del “prodismo”. Due posizioni che si scontrate in modo duro negli anni passati. Siamo, lei dice, in una fase post-adulta. Può spiegarci meglio? Vuol dire che si aprirà una nuova stagione per il cattolicesimo politico?
Alla fine del ruinismo corrisponde in un certo senso anche la fine del prodismo. Che cosa rimane di quel cattolicesimo politicamente adulto? La nuova generazione del cattolicesimo italiano si è emancipata dai vescovi, ma anche da coloro che si erano emancipati dai vescovi. La nuova generazione da una parte non si fa problema a disobbedire ai vescovi, ma dall’altra parte sembra obbedire allo “spirito del tempo” in modo acritico. Non è chiaro quale sarà la prossima fase del cattolicesimo politico – né se ci sarà un futuro per il cattolicesimo politico. Questa questione va inquadrata da una parte nella crisi del paradigma occidentale del cattolicesimo, che ora è sempre più globale, e dall’altra nella crisi epocale di fede nella politica.
Ultima domanda: sullo sfondo dei diritti civili c’è il grande confronto scontro, come lo definiva lo storico francese Emilé Poulat, chiesa-modernità. Il Concilio Vaticano II ha detto parole definitive, ovvero la scelta del dialogo. Qual è lo sforzo innovatore di Papa Francesco su questa frontiera?
Il Vaticano II ha solo iniziato un discorso che 50 anni fa è ancora aperto, anche perché Francesco lo ha riaperto. Bergoglio ha una visione complessa della modernità coi suoi aspetti negativi, come si vede nell’enciclica Laudato si’. La cosa importante di Francesco è che non guarda mai indietro con nostalgia, ma è sempre proiettato nel futuro. Questo atteggiamento è di per sé moderno.

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