giovedì 14 maggio 2015

Rifugiati: l'Europa cambia verso


David Sassoli
HuffingtonPost 13 maggio 2015
In un mese molto è cambiato in Europa. Solo poche settimane fa, alcune considerazioni non sarebbero state date per scontate, né accettate come base di discussione comune. Le tragedie che si sono verificate nel Mediterraneo, l'instabilità presente in alcune aree, la feroce attività degli scafisti, il richiamo a difendere i diritti umani e la minaccia che flussi migratori incontrollati espongano ad alti rischi i Paesi di frontiera hanno consentito alle istituzioni europee, per la prima volta, di dotarsi di una base comune di riflessione e iniziativa.
Non era scontato. Ma il Consiglio straordinario di aprile e la risoluzione votata a larga maggiorana dal Parlamento europeo hanno consentito al presidente Juncker e all'Alto rappresentate Mogherini di adottare una linea di forte discontinuità rispetto all'inerzia degli ultimi anni. Quello che fino a poco fa sembrava impossibile da raggiungere si è messo in moto nel giro di poche settimane. Oggi è possibile dire che l'Europa parla la stessa lingua. E anche a Lisbona, nel corso dell'Assemblea parlamentare dell'Unione per il Mediterraneo abbiamo colto questo cambiamento di marcia. Nella riunione dei presidenti dei 33 parlamenti presenti, è stato naturale parlare della necessità di condividere l'accoglienza dei richiedenti asilo fra i 28 Paesi europei, della partecipazione economica alle attività di soccorso, identificazione e trasferimento e di rendere l'operazione Triton simile a Mare Nostrum.
Nella dichiarazione finale, che i presidenti delle assemblee legislative si sono impegnati a sostenere presso governi e capi di Stato, sono stati accolti tutti gli emendamenti presentati dal Parlamento europeo. Davvero nella capitale portoghese, nel confronto con i Paesi della sponda sud, l'Europa ha parlato con una lingua sola. In particolare, ha sostenuto la necessità di "una condivisione equa delle responsabilità", in un quadro regolamentare "basato sul principio della solidarietà". E ancora: "sostegno speciale", da parte dei Paesi che non si affacciano sul Mediterraneo, alle nazioni esposte al maggior numero di arrivi.
Se il tema dei flussi marittimi interessa particolarmente Italia, Malta, Grecia, Cipro e Spagna, quello dei flussi terrestri deve prevedere le medesime condizioni di solidarietà. È il caso della Turchia, esposta ad una forte pressione da parte di migranti provenienti dalle zone del conflitto siriano. Ma non solo: premono alle sue frontiere minoranze religiose in fuga da molte aree mediorientali che senza la protezione turca rischierebbero l'estinzione. Il Libano, con un milione e mezzo di profughi, ha chiuso le frontiere; la Giordania ne ospita 2 milioni e mezzo. La Turchia è l'unico Paese che può consentire un sostegno concreto. Ma sia chiaro, arrivare in Turchia è arrivare in Europa.
Le migrazioni modificano i riferimenti geografici e impongono nuove responsabilità. Dopo l'assemblea di Lisbona, la presidenza dell'Unione per il Mediterraneo passa dal Portogallo al Marocco. Da un Paese europeo ad uno nordafricano. Da una sponda all'altra. Una politica per il Mediterraneo non è soltanto un affare europeo, a patto che l'Europa continui a parlare con una voce sola. L'alleanza fra Parlamento europeo e Commissione Europea si è consolidata nella messa a fuoco di interessi continentali.L'Agenda immigrazione che presenterà Juncker approderà al Consiglio europeo di giugno. Ed è là che i governi, con i i loro interessi e i loro umori, dovranno dimostrare di essere all'altezza della situazione per non far tornare afona la voce dell'Unione.

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