mercoledì 24 febbraio 2016

La Corte boccia la legge razzista di Maroni. E Salvini sbrocca


Stefano Cagelli
L'Unità 24 febbraio 2016
Dopo i ripetuti scandali che stanno minando la credibilità della Regione, i vertici della Lega scivolano su un’altra mossa da dilettanti allo sbaraglio
A Maroni e Salvini non ne va proprio bene una. Dopo gli scandali che stanno minando le fondamenta della giunta regionale leghista con la costanza di una “goccia cinese”, da Mantovani a Rizzi, da Garavaglia allo stesso governatore, è arrivata un’altra brutta notizia per quelli che una volta si definivano i lumbard: la Consulta ha bocciato, senza lasciare spazio a molte interpretazioni, l’assurda legge anti-moschee ideata proprio da Maroni per rendere praticamente impossibile la costruzione di luoghi di culto per i cittadini di fede islamica.
Una decisione scontata, non c’era bisogno della Consulta per capire che questa legge fosse, per troppi aspetti, incostituzionale. I 15 giudici della Corte, riuniti ieri in camera di consiglio, hanno preso la decisione all’unanimità, in una seduta anche piuttosto breve, condividendo l’impostazione del giudice relatore Marta Cartabia. Una decisione che fa gridare allo scandalo gli alti quadri leghisti, in primis il segretario Matteo Salvini, che perde la testa: “Abbiamo una consulta islamica, non italiana, che è complice dell’immigrazione clandestina. E’ vergognoso”. Una reazione in piena linea con il Salvini-pensiero: volutamente spropositata, di pancia, del tutto inappropriata e priva di ogni collegamento con la realtà.
E’ il febbraio 2015 quando la Regione Lombardia vara la sua legge contro le moschee e soprattutto contro la possibilità di costruirne di nuove. Una risposta all’amministrazione milanese di Giuliano Pisapia che nel frattempo aveva bandito il concorso per tre nuove chiese non cattoliche. La legge leghista è sostanzialmente un elenco di ostacoli che dovrebbero frapporsi alla costruzione di nuove moschee: limitazioni all’altezza dei campanili (in questo caso si chiamerebbero minareti), nessuna architettura che possa entrare in conflitto con il panorama lombardo (i grattacieli?), obbligo dell’impianto di videosorveglianza, valutazione di impatto ambientale e la possibilità di un referendum tra i cittadini per verificarne il loro effettivo gradimento.
Davanti ad un’iniziativa che minaccia così esplicitamente la libertà di culto, frutto dell’improvvisazione e della foga di pochi dilettanti allo sbaraglio, il governo Renzi è costretto a impugnare subito la legge davanti alla Consulta. Nonostante le proteste di Maroni, il governo tira dritto e si arriva così alla sentenza del 23 febbraio. Una bocciatura più che prevedibile che dimostra l’inadeguatezza di una giunta quotidianamente al centro di episodi che gettano cattiva luce sulle istituzioni. Un’altra prova di miopia politica senza precedenti. “Un ulteriore tassello – spiega il capogruppo del Pd in consiglio regionale Enrico Brambilla – che si somma alla lista delle motivazioni che martedì prossimo ci spingeranno a chiedere le dimissioni di Maroni”.

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