Beppe Severgnini
Corriere della Sera 28 ottobre 2015
Expo 2015 se ne va: cosa ci ha
insegnato? Qualcosa sulla nutrizione del pianeta, certo. Parecchio
sulle possibilità di Milano. Molto sulla forza dell’ideologia.
Sono
in arrivo ondate di riassunti,
giudizi, bilanci, analisi ed esegesi. Preparatevi a nuotare tra i
numeri e cercate di non affogare tra i commenti. La chiusura di Expo,
tra pochi giorni, permetterà ai lavoratori di lavorare (bisogna
smontare), ai vanitosi di vantarsi (non hanno mai smesso), ai
calcolatori di calcolare (spese e ricavi, ci fate sapere?), ai
programmatori di rilevare la mancanza di programmazione (quale futuro
per il Decumano?). Ma fornirà anche l’occasione di sintetizzare.
Expo 2015 se ne va: cosa ci ha insegnato? Qualcosa sulla nutrizione
del pianeta, certo. Parecchio sulle possibilità di Milano. Molto
sulla forza dell’ideologia. Mercoledì abbiamo chiesto a Beppe
Sala, davanti a CasaCorriere: «Qualcuno dei tanti che avevano
previsto il naufragio di Expo s’è fatto vivo per scusarsi?».
Essendo educato, e per di più esausto, il Commissario Unico ha
cambiato discorso. Abbiamo imparato — tutti insieme — anche
un’altra cosa. Tra tutte, la più importante. Il vero spettacolo di
Expo, da maggio a ottobre, non sono stati i vetri, le terrazze, gli
schermi, gli incontri e i convegni.
Il
vero spettacolo sono state le gambe
— circa quarantadue milioni, secondo le ultime stime — che
per sei mesi si sono incamminate, messe in fila, spostate, stancate.
Sono le facce stupite e gli occhi al cielo, i sorrisi pazienti e le
bocche stanche di assaggi e di commenti. Gambe, facce, occhi, bocche
e sorrisi italiani, in maggioranza. Chi ha visitato Expo con amici
stranieri — soprattutto negli ultimi due mesi, quelli della grande
ressa imprevidente — ha notato la loro ammirazione. Per quello che
abbiamo fatto, certo. Ma anche per quello che non abbiamo fatto. Non
ci siamo scoraggiati (davanti agli scandali prima, alle code poi);
non ci siamo lamentati (abbiamo occasionalmente protestato, è
diverso); non ci siamo picchiati e insultati; non ci siamo ubriacati;
non abbiamo trasformato Expo in un deposito di bottiglie e rifiuti,
come succede a tanti quartieri europei dopo la festa. È normale!,
diranno molti. Vero. Ma la normalità resta la méta italiana, quella
che ancora ci sfugge. Siamo i campioni mondiali dei bei gesti, ma
facciamo fatica a trasformarli in buoni comportamenti: quelli che
segnano le società, che semplificano la vita, che costruiscono il
benessere. A Expo è successo: ci siamo comportati bene. Tutto il
resto, viene dopo.
Nessun commento:
Posta un commento